L’imprenditore cosentino ha scelto di restare nella sua terra e di guardare al Mediterraneo come spazio comune. Con il suo progetto digitale prova a unire due mondi, trasformando le radici calabresi in punto di partenza
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Sandro Airaldi
Ci sono persone che guardano i confini come muri. Altri, invece, li leggono come punti di partenza. Sandro Airaldi, cosentino 45enne, appartiene senza dubbio alla seconda categoria. Da oltre vent’anni lavora nel digitale, ma ridurre la sua vicenda a un elenco di software e strategie di marketing messe in campo nel corso del tempo sarebbe ingiusto. La sua è prima di tutto una storia di radici e di sguardo proiettato verso il futuro, per abbracciare il Mediterraneo come un unico orizzonte.
La sua storia muove i passi da Cosenza, la città che non è il centro del mondo, ma che per Airaldi ha rappresentato e rappresenta la solida base da cui lanciare le sfide ai grandi colossi del digitale. Qui, con la sua società, muove i primi passi in un settore che spesso al Sud fatica a trovare terreno fertile. Un percorso fatto di tentativi, di errori e ripartenze. Eppure, mattoncino dopo mattoncino, ha costruito un’esperienza che oggi gli permette di pensare, appunto, oltre i confini regionali.
L’ultima intuizione porta il nome di “Malta356.com”. Ufficialmente, è un portale che guarda al mercato immobiliare maltese. In realtà, la definizione rischia di essere riduttiva. Perché dietro quell’idea c’è sì un “ponte digitale”, ma soprattutto una sfida culturale che vuole favorire gli interscambi non solo commerciali tra la Calabria e l’isola al centro del Mediterraneo. «Ogni investimento è un atto di fiducia tra culture diverse», dichiara Sandro Airaldi. E il vero lavoro sta proprio qui: creare fiducia, prima ancora che opportunità economiche. Airaldi è convinto che le radici «non debbano essere viste come un peso». Al contrario: «Possono trasformarsi in un vantaggio».
È un pensiero controcorrente, dunque, se si pensa a quanti giovani calabresi vedono nella partenza l’unica possibilità di crescita. Lui, invece, ha scelto di restare. E di dimostrare che da qui, dal Sud più spesso raccontato per i suoi limiti che per le sue potenzialità, si può dialogare con il mondo. Accanto a lui, nella vita quotidiana, la moglie Francesca, informatica anche lei, e i due figli Matteo e Davide.
È nella famiglia che Airaldi riconosce il primo vero ponte: quello che tiene insieme il lavoro e la vita privata, il sogno e la realtà. «Costruire ponti non è solo un mestiere – dice – ma un modo di stare al mondo». Il suo non è soltanto un progetto imprenditoriale, ma una storia di resistenza e visione, che racconta come da una città di provincia si possano immaginare connessioni globali. E che anche in un tempo di partenze e di distanze, qualcuno scelga di restare per inventare nuove rotte.