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      Cielo di piombo su piazza Valdesi, il giorno che Cosenza scopre la 'ndrangheta

      Fino ad allora in città se n'era solo sentito parlare e per molti neanche esisteva, ma il 19 settembre del '76 tutti conobbero per la prima volta il Male
      Marco Cribari
      9 luglio 202511:48
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      Cielo di piombo su piazza Valdesi, il giorno che Cosenza scopre la 'ndrangheta

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      Cielo di piombo su piazza Valdesi, il giorno che Cosenza scopre la 'ndrangheta

      Cielo di piombo su piazza Valdesi, il giorno che Cosenza scopre la 'ndrangheta

      L’estate che volge al termine è stata brutta e piovosa. La più fredda degli ultimi cinquant’anni, dicono, in ossequio a statistiche non ancora così accurate. L’uomo che cammina su Lungo Crati, sul far della sera, tradisce impazienza. Procede a passo spedito verso la confluenza dei due fiumi e sotto al braccio regge un oggetto avvolto nella carta dei quotidiani. Ha la forma di uno sfilatino e, visto il meteo incerto, si potrebbe scambiarlo per un ombrello. In quel fagotto, però, non c’è né l’uno né l’altro. C’è un fucile a canne mozze. È il 19 settembre del 1976. In città, di quel “mostro” tutto calabrese che agita i sonni di grandi e piccini, se n’è sentito solo parlare. In tanti, manco credono che esista. Quel giorno, Cosenza sta per scoprire la ‘ndrangheta.

      L’uomo che sussurra ai pesci

      Antonio Sena ha 35 anni e si guadagna da vivere con alici e frutti di mare. Ha cominciato a venderli su di un carrettino, ma dal 1968 è diventato un imprenditore serio, di tutto rispetto. Apre un negozio in via Piave e la fama di dritto se la conquista per il modo spiccio con cui dirime una controversia legata proprio a quel magazzino: il proprietario del locale vuole raggirarlo, poi tenta addirittura di aggredirlo. E così lui risponde piombo a un palo. E lo gambizza. Non si fa largo solo con la forza, usa soprattutto l’inganno. Il primo capitale lo mette da parte rifilando assegni a vuoto ai suoi fornitori e, grazie a quelle truffe, costituisce una serie di cooperative intestate a dei prestanome.

      La parvenza, dunque, è quella di un mercato libero e concorrenziale, ma dietro c’è un monopolista assoluto del commercio ittico in città: lui. È un modello imprenditoriale che negli anni successivi sarà fonte d’ispirazione per un suo vecchio amico di Cetraro, un altro della classe ’41. Il suo nome dice ancora poco o nulla alle cronache. Si chiama Franco Muto. Per la vicenda degli assegni scoperti, Sena si becca qualche denuncia, ma nessun pescatore ha poi il coraggio di accusarlo fino in fondo. La lezione impartita al suo locatore è servita a qualcosa. La gente ha paura di lui. E da domani, pensa, ne avrà ancora di più.

      La partita di pallone

      Quel 19 settembre cade di domenica. Il Cosenza gioca in serie C e quel giorno, alla seconda di campionato, ha esordito in casa contro il Matera. Vince 2-1 in modo fortunoso, dopo aver ribaltato lo svantaggio iniziale. I tifosi si godono il successo, ma è solo fuoco di paglia in quella che, dal punto di vista sportivo, si rivelerà una stagione disgraziata. E’ l’anno di Cosenza-Paganese, dell’invasione di campo dei tifosi e della squalifica del San Vito, l’anno dell’ultimo posto in classifica e del ritorno mesto in serie D.

      L’uomo nel mirino si chiama Franco Perna, per gli amici Franchino. È un accanito tifoso dei Lupi nonché assiduo frequentatore dello stadio. Dopo ogni partita, ha l’abitudine di trascorrere un paio d’ore in un biliardino in piazza Spirito Santo. Sena lo sa e va a cercarlo proprio in quel circolo ricreativo, ma non lo trova. Qualcuno gli sussurra che si è spostato in piazza Valdesi. Ed è lì che, calpestando il Lungo Crati, si dirige adesso con il fucile incartato come un capitone. Ce l’ha con lui per via di rapporti da tempo conflittuali, ma oltre ai motivi personali c’è di più: vuole ucciderlo per ciò che rappresenta. Perna, infatti, è l’uomo di maggior fiducia nonché compare di Luigi Palermo, l’uomo che sovrintende a tutte le attività illecite che si consumano a Cosenza. È a lui che, con quell’omicidio, il signore dei pesci vuole dichiarare guerra. 

      Il segno di Zorru

      All’epoca, Palermo ha 53 anni e si porta dietro un soprannome immaginifico – U Zorru – assegnatogli per due buone ragioni: perché da giovane ha sfregiato la guancia di un rivale durante un duello rusticano e per quel suo vezzo di sfilare a carnevale, su corso Mazzini, in sella a un cavallo e agghindato proprio come l’eroe mascherato. Si è arricchito con le bische, il contrabbando di sigarette e le case d’appuntamento che ha aperto anche in Puglia, in più conta su un piccolo esercito di manutengoli, tutti giovanissimi, che lo foraggiano – e si foraggiano – con furti, rapine e piccole estorsioni ai commercianti. Ultimamente, però, molti di quei ragazzi si sono fatti prendere la mano: creano allarme sociale e questo, don Giggino, non se lo può permettere.

      È amico di tanti politici e, come scrive la polizia in una vecchia annotazione di servizio, «gode della malsana ammirazione da parte dell’opinione pubblica e finanche delle sue vittime». E’ uno che ci sa fare, le persone comuni si rivolgono a lui per mediare e risolvere i problemi della loro quotidianità, piccoli e grandi. Tutti si aspettano che intervenga pure stavolta, per mettere in riga quelle teste calde. Ormai, però, quei ragazzi riesce a malapena a tenerli a bada. Tra i più riottosi e indisciplinati c’è un certo Franco Pino. Palermo diffida di lui al pari di un altro giovane fumantino, Mariano Muglia, che addirittura ha osato schiaffeggiarlo in pubblico. Avrebbe la forza di spazzarli via entrambi con un battito di ciglia, ma preferisce minimizzare l’accaduto. È uomo di pace, non ama il bastone, s’illude di poter governare ancora con la carota. Attorno a lui, intanto, il malumore cresce e si dilata giorno dopo giorno. Sena lo intuisce, sente che il vento sta per cambiare. È il più adulto delle seconde linee, pensa di essere il più titolato a prendere il posto del boss. Quella marcia su Lungo Crati, sublima la sua ribellione.

      L’auto che è venuta da lontano

      La faccenda è complicata. Coetaneo di Sena, Perna ha carisma criminale da vendere. Dedito a furti e rapine, è temuto in ragione di una forza fisica divenuta proverbiale. Qualche anno prima, un raid notturno compiuto in una gioielleria di corso Mazzini ne ha alimentato il mito dolente. Quel giorno, lui e un complice cercano di raggiungere il negozio passando dal magazzino adiacente, attraverso un buco praticato nella parete. Il muro, però, resiste sotto i colpi dei picconi e, allora, leggenda vuole che Perna, gettati via gli attrezzi da scasso, riesca a buttarlo giù a furia di pugni e testate. Non è solo la pericolosità del suo bersaglio a preoccupare Sena. Tra le protezioni di cui gode Palermo, infatti, c’è quella del potente boss reggino Ciccio Canale. Si dice che pure don Giggino sia affiliato a una cosca e che gli abbiano conferito la dote dello “Sgarro”. Toccare uno così, innesca reazioni imprevedibili, comporta delle conseguenze.

      L’uomo col canne mozze calibro 12 ne è consapevole e, proprio per questo, ha preso le sue precauzioni. L’attività da imprenditore gli ha permesso di viaggiare, di allacciare rapporti e intessere amicizie. Una di questa l’ha stretta con Giuseppe Piromalli, il fratello di Don Mommo. Si è rivolto a lui per ottenere il via libera dall’alto e bilanciare così l’incognita Canale. L’operazione gli riesce, se è vero, come riferiscono dei testimoni, che in quell’impresa non è solo. Una Fiat 850, con alla guida il fido Elio Sconnetti alias “Sei dita”, lo segue a breve distanza. Dietro di essa, un secondo veicolo gli fa da scorta. La compagnia semimotorizzata avanza con lentezza, è quasi giunta a destinazione quando il veicolo in coda accelera leggermente. Sono appena scoccate le le 19 ed è il primo che si affaccia minaccioso su piazza dei Valdesi. Ha la targa di Reggio Calabria. (clicca su avanti per continuare)

      Cielo di piombo

      Franco Perna è appena uscito dal Caffé Luciani e ora è fermo davanti alla sua Fiat 132 parcheggiata quasi al centro della piazza. Ci mette meno di un secondo a capire cosa sta per succedere, tant’è che è il primo ad aprire il fuoco. Tira fuori la pistola e spara. Un gruppetto di persone torna dal cinema Morelli dopo aver assistito alla proiezione del film “Da mezzogiorno alle tre”, un western con Charles Bronson. Uno di loro si ritrova sulla linea di tiro e il proiettile gli si conficca in un gluteo, mentre i suoi amici si gettano a terra tra le urla. Il Far West, che pensano di aver lasciato in sala, lo ritrovano per strada.

      Sconnetti e i reggini rispondono al fuoco col fuoco. Una raffica di piombo si abbatte sul veicolo di Perna – quando sarà tutto finito, sull’asfalto si conteranno diciotto bossoli – ma non sul bersaglio designato che, vista la parata, opta per una ritirata strategica. Inforca la scalinata che porta a Santa Lucia e si lancia in una corsa, tutta in salita, che per lui vuol dire sopravvivenza.

      Il nemico del mio nemico

      Nessuno gli va dietro. Sena e il suo guardaspalle cosentino imboccano corso Telesio mentre l’auto targata Rc si dirige a tutta velocità verso corso Garibaldi, nella direzione opposta. È una manovra a tenaglia, vogliono chiudere il cerchio sul fuggitivo nella parte alta di Santa Lucia. Quando Perna arriverà in cima al rione troverà sbarrata ogni possibile via di fuga. Il quartiere delle lucciole diventerà la sua tomba. Sembra solo questione di minuti perché il suo destino si compia, ma è in quel momento che in suo soccorso arriva l’alleato più improbabile di tutti.

      Una gazzella dei carabinieri incrocia la Fiat 850 e pizzica Sena e Sconnetti con le armi sui sedili posteriori. Li arrestano al volo e con la loro uscita di scena, salta anche l’accerchiamento. La sinistra di Franchino ora non è più occupata. Può nascondersi tra le vinelle del centro storico e far perdere le proprie tracce. Continua a correre e a guardarsi le spalle, ma è in quei momenti, forse, che pensa già alla rivincita. La guerra di mafia a Cosenza è appena cominciata.

      Il suono del silenzio

      I carabinieri lo interrogano già poche ore dopo. Vogliono sapere perché la sua auto è ferma in piazza dei Valdesi ridotta a un colabrodo. Interrogativo legittimo, ma non avranno le risposte che cercano. Non da lui almeno. Nel loro rapporto giudiziario, inquadrano la sparatoria come «una controversia per questioni di predominio nelle quali non è gradito l’intervento della polizia». Quel silenzio opposto dalla vittima, infatti, non riescono proprio a definirlo. È qualcosa di nuovo, di mai visto prima a queste latitudini. Il suo nome è omertà, ma loro non sanno ancora come chiamarla.

      Perna afferma di non sapere perché qualcuno abbia usato la sua Fiat per giocare al tiro a segno. Sostiene che a quell’ora si trovava ad Arcavacata, nella tenuta agricola del suo compare Luigi Palermo che doveva prestare assistenza a uno dei suoi cavalli malati. I militari fanno una perquisizione in quella fazenda e trovano un mucchio di cose interessanti. Ricetrasmittenti, baracchini, manette e, nascoste tra alcune balle di fieno, due pistole e un fucile. Il 30 settembre, anche Luigi Palermo finisce dietro le sbarre per detenzione illegale di armi.

      L’ultimo capodanno

      Sarà condannato a dieci mesi di carcere, ma resta dentro solo per il trimestre successivo. Torna in circolazione il 30 dicembre, giusto in tempo per festeggiare il capodanno. Dal balcone della sua casa di via Montevideo, assiste al rito dei fuochi pirotecnici, getta per strada una vecchia stoviglia, spara in aria un paio di fucilate benauguranti. È stato un anno turbolento per lui, con tutte le grane che gli hanno dato i suoi ragazzi, ma ormai è acqua passata.

      Il 1977 promette di essere migliore. È ancora il capo di Cosenza, è sempre “U Zorro”. Il fragore dei tric-trac lo distrae, gli confonde i pensieri. Un’esplosione, cupa e improvvisa, fa sobbalzare tutta via Panebianco, compreso lui. È solo un petardo più pesante degli altri che, però, val bene un presagio sinistro. Il vecchio mondo sta morendo, il nuovo è già alle porte. Quello schianto che proviene dal passato, sembra annunciare il futuro. Don Giggino non lo sa, ma per lui è solo questione di mesi.

                    

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