
Furti d'auto a Cosenza, zingari e italiani tra orgoglio e pregiudizio
Furti d'auto a Cosenza, zingari e italiani tra orgoglio e pregiudizio
Furti d'auto a Cosenza, zingari e italiani tra orgoglio e pregiudizio
Era l’Iveco Daily, col cassone o senza, la preda più ambita dalla banda di ladri d’auto di etnia rom sgominata dai carabinieri di Cosenza. Non disegnavano Fiat Doblò, Panda e Punto, persino le motociclette, ma se nelle loro perlustrazioni notturne si imbattevano in quel tipo di camioncino, il “Daily”, non c’era più imbarazzo della scelta.
Quando nella notte tra il sette e l’otto dicembre del 2023, il gruppo riesce ad arraffarne uno in versione autocestello, fermo nei pressi dello svincolo di Cosenza sud, le intercettazioni documentano tutto il loro entusiasmo: «Abbiamo un mezzo di sessanta, settantamila euro!». Sono consapevoli che una rivendita illecita del mezzo frutterebbe al massimo «duemila euro», ma confidano nel cavallo di ritorno che, per l’occasione, ammonterà a tre volte tanto. C’è un problema, però: dal momento del furto, sono passati già due giorni e «ancora non si è fatto vedere nessuno». Uno degli indagati definisce «una vergogna» il fatto che il proprietario non si si presentato a reclamare il veicolo, ma si sbaglia. Il derubato, infatti, si materializzerà, mettendo sul pianto mille e cinquecento euro per riavere il maltolto. Finisce che dalla pretesa iniziale di seimila, i malviventi scendono duemila. La trattativa, invero breve, si chiuderà a mille e sette.
Sei giorni più tardi, a finire nel mirino è un altro “Daily”, stavolta parcheggiato a Rende, in via Cristoforo Colombo. I carabinieri raccolgono in presa diretta lo stupore dei ladri per la mancanza di cautela e accortezze da parte del proprietario. «Gli italiani sono pazzi» ripete a tamburo battente uno di loro, a dimostrazione di un pregiudizio, di segno opposto, ben radicato anche a quelle latitudini. Più volte si autodefiniscono «zingari»; sempre e per forza «italiano», invece, sarà il potenziale delatore su cui riversano la colpa quando i carabinieri rinvengono il mezzo trafugato poche ore prima. Ignorano di essere marcati stretti, di avere un gps piazzato sotto la vettura, e così vanno a caccia di spie. «Sono infami quegli italiani» sibila un indagato. Succede anche per il furgone di via Colombo, e mentre s’interrogano su chi possa avere fatto la soffiata, meditano di punirlo con «due o tre schiaffi», di non fargliela «passare liscia» e di farsi consegnare da lui «diecimila euro» a titolo riparatorio.
Scelgono con cura i luoghi in cui custodire le auto dopo i furti. Terreni agricoli di Altomonte e San Lucido, ma anche gli ampi parcheggi dei supermercati, piazze periferiche ad alte densità di parcheggio, ovunque non diano nell’occhio. Uno di questi posti sicuri – l’ampio parcheggio di un ristorante dell’hinterland – risulterà poi “bruciato” a causa di una loro disattenzione. Il satellitare, rimosso dal veicolo rubato, viene abbandonato non troppo distante da lì, circostanza che in seguito porta al suo ritrovamento e all’individuazione del deposito occulto. Anche l’auto in questione, però, non è la più adatta alla bisogna: una Jeep Renegade di un verde fin troppo sgargiante. «Il posto era buono – se ne duole uno degli indagati – ma sono andati a mettere quella merda di pistacchio là. Non ce l’avrei messa proprio».
Colpiscono in piazza Zumbini così come in via Padre Giglio; in via Roma e anche in via Nicola Serra. «Facciamoci una Compass» sono le parole che pronuncia uno di loro il 3 dicembre, dopo aver adocchiato una Jeep parcheggiata in viale Mancini. Hanno a disposizione tubi, cacciaviti, tenaglie e tutto il necessaire dello scasso. E poi le centraline per l’accensione, una per ogni tipologia di veicolo. Se il caso lo richiede, al sopralluogo che precede il furto, associano anche l’apertura del cofano per prendere nota del tipo di motore con cui hanno a che fare. In un’occasione, accade che una Fiat Panda prelevata ventiquattr’ore prima, sia utilizzata il giorno dopo come ariete per sfondare l’ingresso secondario di un ristorante di Montalto. Da chi? Le indagini non l’hanno chiarito. Agli atti, c’è solo una captazione in cui un uomo, non identificato, esprime il proprio rammarico per la perdita: «Peccato, era una bella Pandicella» (clicca su avanti per leggere i nomi degli indagati)