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“Testa del Serpente”, il gip: «Il fermo non può essere convalidato»

Il gip del tribunale di Cosenza, Giuseppe Greco non ha convalidato il decreto di fermo emesso dalla Dda di Catanzaro nei confronti di 18 persone, accusate di far parte della nuova confederazione criminale – composta dagli italiani e dalla famiglia Abbruzzese – operante in tutta l’area urbana di Cosenza. I 18 indagati, però, rimangono in

“Testa del Serpente”, il gip: «Il fermo non può essere convalidato»

Il gip del tribunale di Cosenza, Giuseppe Greco non ha convalidato il decreto di fermo emesso dalla Dda di Catanzaro nei confronti di 18 persone, accusate di far parte della nuova confederazione criminale – composta dagli italiani e dalla famiglia Abbruzzese – operante in tutta l’area urbana di Cosenza. I 18 indagati, però, rimangono in carcere. L’ordinanza cautelare, vergata sabato sera dopo le ore 21, mantiene inalterato l’assunto accusatorio ma non entra nel merito delle vicende indiziarie, sulle quali dovrà esprimersi il gip distrettuale di Catanzaro, competente per reati di mafia. Ciononostante, il gip Greco spiega i motivi per i quali il provvedimento di fermo, firmato dal pm Camillo Falvo, dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dal procuratore capo Nicola Gratteri, non può essere convalidato.

“Testa del Serpente”, le motivazioni del gip Greco

Nel richiamare una sentenza della Cassazione – seconda sezione penale del 2019 – il gip Greco evidenzia che «ai fini della convalida del fermo, il pericolo di fuga non può essere presunto sulla base del titolo d reato in ordine al quale si indaga, ma deve essere fondato su elementi specifici, ossia dotati di capacità di personalizzazione, desumibili da circostanze concrete». Il gip Greco, inoltre, rimarca anche il principio che il «pericolo di fuga», se non può desumersi dal titolo di reato per il quale si procedere, non può, neppure, trarsi «“dal solo fatto che l’indagato sappia degli accertamenti in corso a suo carico operati dalla polizia giudiziaria né dalla mera probabilità o dall’astratta probabilità che l’indagato sia dia alla fuga”». 

Secondo questo orientamento giurisprudenziale, il gip Greco afferma che «il fermo degli indagati non può essere convalidato per l’evidente insussistenza del presupposto di legge», evidenziando che «nel caso di specie nessuno degli indagati risulta essersi dato alla fuga in quanto il fermo è stato eseguito, a distanza di un significativo lasso di tempo dalla consumazione dei fatti, presso la loro rispettiva abitazione». Per il gip di Cosenza questo discorso vale anche per Roberto Porcaro, trovato in un’abitazione differente da quella in cui dimora solitamente.

Se il mafioso rimane a controllare il territorio

La spiegazione del gip Greco si estende anche al concetto secondo il quale «gli odierni indagati, indiziati di appartenere ad una consorteria di tipo mafioso, traggono il loro potere criminale e le stessi fonti di sostentamento proprio in virtù dello stabile insediamento nel territorio ove si esercita la forza di intimidazione del sodalizio ‘ndranghetistico di appartenenza». Uno degli esempi richiamati dal gip di Cosenza è quello relativo a Carlo e Giovanni Drago che «si scambiano opinioni circa i “movimenti” sospetti delle forze dell’ordine – trascritte nella parte finale della richiesta in esame, dalle quali il pubblico ministro ritiene di poter dedurre il prospettato «pericolo di fuga». Conversazioni, tuttavia, che si risalgono al mese di aprile del 2019, contenute nell’operazione “Testa del Serpente”.

Spogliandosi delle vesti di giudice competente per i reati di mafia, il gip Greco sottolinea anche la ristrettezza temporale dal dover valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza entro le 48 ore dall’emissione del decreto di fermo rispetto a una richiesta di misura cautelare composta da oltre 640 pagine. Ritiene, tuttavia, che «in relazione ai singoli episodi criminosi sussistono adeguati elementi costituiti da intercettazioni telefoniche ed ambientali, sequestri, narrati di collaboratori di giustizia e riscontri su tali propalazioni», senza dimenticare i racconti delle persone offese e le relazioni di servizio stilate dalla polizia giudiziaria. La custodia cautelare in carcere, dunque, è applicata a tutti gli indagati raggiunti dal decreto di fermo che, oltre ad aver scelto la via del silenzio, non hanno documentato circostanze idonee a superare la richiesta della Dda di Catanzaro in relazione alle indagini, denominate convenzionalmente “Testa del Serpente”.

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