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Dall’ergastolo a Grande Aracri al “prestito” per Assisi: la difesa di Petrini

Circa quattro ore e mezza di interrogatorio per difendersi dalle accuse di corruzione, in alcuni casi aggravati dal metodo mafioso. Il giudice Marco Petrini ha voluto fare chiarezza, dal suo punto di vista, sulle contestazioni mosse dalla Dda di Salerno, competente per i reati commessi dai magistrati del Distretto Giudiziario di Catanzaro. La difesa di

Dall’ergastolo a Grande Aracri al “prestito” per Assisi: la difesa di Petrini

Circa quattro ore e mezza di interrogatorio per difendersi dalle accuse di corruzione, in alcuni casi aggravati dal metodo mafioso. Il giudice Marco Petrini ha voluto fare chiarezza, dal suo punto di vista, sulle contestazioni mosse dalla Dda di Salerno, competente per i reati commessi dai magistrati del Distretto Giudiziario di Catanzaro. La difesa di Marco Petrini, rappresentata dagli avvocati Agostino De Caro del foro di Salerno e Ramona Gualtieri del foro di Lamezia Terme, qualche ora dopo la fine dell’interrogatorio di garanzia aveva inviato una nota, evidenziando i punti difensivi toccati dal magistrato Marco Petrini davanti al gip distrettuale di Salerno, Giovanna Pacifico.

Il processo contro la cosca Grande Aracri di Cutro

Tra gli argomenti difensivi c’è quello di un presunto intreccio illecito tra il giudice Marco Petrini e l’avvocato Salvatore Staiano. C’è da precisare, però, che non vi sono al momento capi d’imputazione al riguardo, ma è comunque un aspetto che è stato trattato nel corso dell’interrogatorio di garanzia. «Il magistrato ha inteso rispondere» hanno scritto i penalisti De Caro e Gualtieri «precisando come per una vicenda giudiziaria in cui gli si contesta di essere legato ad un avvocato di Catanzaro che sarebbe stato favorito in forza di un intreccio illecito tra i due, sono stati irrogati tre ergastoli quando in primo grado i due imputati avevano avuto trenta anni ed uno era stato assolto». Il processo in questione è “Kyterion“, l’inchiesta della Dda di Catanzaro sul clan Grande Aracri di Cutro.

In primo grado il gup del tribunale di Catanzaro aveva condannato Nicolino Grande Aracri a 30 anni di carcere, Ernesto Grande Aracri e Angelo Greco rispettivamente a 24 anni di reclusione. Erano stati assolti invece Luigi Martino, Carmine Riillo, Dario Cristofaro, Michele Diletto, mentre avevano avuto una sentenza di condanna Pasquale Diletto e Antonio Grande Aracri. 

In Corte d’Assise d’Appello, tuttavia, il collegio giudicante, presieduto dal giudice Marco Petrini, aveva completamente ribaltato a favore dell’accusa la sentenza di primo grado, infliggendo il “fine pena mai” a Nicolino Grande Aracri e al fratello Ernesto e condannando a 30 anni di carcere Angelo Greco. Le assoluzioni erano diventate tutte condanne, mentre Pasquale Diletto e Antonio Grande Aracri avevano ottenuto uno sconto di pena. Nel caso di Diletto a 6 anni e 8 mesi, mentre per Antonio Grande Aracri 10 anni di reclusione. Rideterminazione arrivata perché assolti da un capo d’accusa. Ed è in questo processo che l’avvocato Salvatore Staiano difendeva il boss di Cutro.

Il “prestito” chiesto da Petrini per la casa di Assisi

Un’altra accusa contestata al giudice Marco Petrini è quella di aver ricevuto indebitamente denaro dall’avvocato Palma Spina, con la quale avrebbe avuto una relazione extraconiugale. Alla stessa, infatti, aveva chiesto in prestito circa 5mila euro per la casa di Assisi, ridotta in pessime condizioni dopo il terremoto del 1997. Doveva chiudere una transazione ma non disponeva di quella cifra. Per questo motivo, visto il rapporto confidenziale, si sarebbe rivolto all’avvocato che, nel giro di poco tempo, avrebbe consegnato 4mila euro in contanti. Secondo la difesa, i soldi che Marco Petrini conta nel suo studio, ripresi dalle telecamere installate dalla Guardia di Finanza, sono quelli dati in prestito dalla Spina e non sono riconducibili a presunti accordi corruttivi.

Il verbale del pentito Emanuele Mancuso

La questione relativa al rapporto con l’avvocato Marzia Tassone del foro di Catanzaro si inquadra, secondo la difesa di Marco Petrini, in modo diverso rispetto a ciò che ha prospettato la pubblica accusa. Infatti, gli avvocati del giudice Marco Petrini hanno chiarito che il loro assistito «ha replicato alla contestazione di non avere ammesso l’esame di un pentito in forza di un rapporto con un’avvocatessa», specificando che «in quel processo furono ammessi altri cinque pentiti e che quel pentito era stato citato a rispondere per fatti che nulla avevano a che vedere con quello in corso di giudizio». Le dichiarazioni escluse erano quelle del collaboratore di giustizia, Emanuele Mancuso.

«Ha poi aggiunto che in ogni caso quel processo si concludeva con una sentenza di condanna». Il processo è quello contro la cosca Soriano del Vibonese. Ed infine, il giudice Marco Petrini «ha obiettato come nessun provvedimento da lui adottato può essere a lui addebitato come illecito». Nessun approfondimento, almeno secondo quanto diramato dagli avvocati, sui casi Tursi Prato e Saraco. Ora si attendono le determinazioni del gip di Salerno, ma in ogni caso gli avvocati sono al lavoro per presentare ricorso al Riesame.

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