Le promesse (non mantenute) di Petrini a Tursi Prato e Santoro
Soldi, cassette di gamberi, carne di qualità e tanti altri regali, tra i quali costosi beni preziosi, in cambio di presunte sentenze pilotate. C’è questo e tanto altro nell’inchiesta della Dda di Salerno contro il giudice Marco Petrini, accusato di corruzione in atti giudiziari aggravato dal metodo mafioso. Il magistrato in servizio presso la Corte
Soldi, cassette di gamberi, carne di qualità e tanti altri regali, tra i quali costosi beni preziosi, in cambio di presunte sentenze pilotate. C’è questo e tanto altro nell’inchiesta della Dda di Salerno contro il giudice Marco Petrini, accusato di corruzione in atti giudiziari aggravato dal metodo mafioso. Il magistrato in servizio presso la Corte d’Appello di Catanzaro era “stipendiato” dal medico in pensione, nonché ex dirigente dell’Asp di Cosenza, Emilio Santoro detto Mario.
Secondo quanto ricostruito dalle indagini, condotte dalla Guardia di Finanza di Catanzaro, il dottore dava 1500 euro al mese a Marco Petrini, in forte crisi finanziaria, come accertato dalle fiamme gialle. Sono tutti collegati i capi d’accusa contro il giudice che, oltre ai regali di ogni genere, aveva due relazioni extraconiugali con due avvocati. La prima è Marzia Tassone, finita ai domiciliari, mentre la seconda è Palma Spina, indagata a piede libero. Situazioni sentimentali che il giudice Petrini avrebbe dovuto distinguere dall’attività professionale, astenendosi dai processi e dalle cause nelle quali i due avvocati erano parti processuali contro la pubblica accusa.
Le manovre di Pino Tursi Prato
Il caso di Pino Tursi Prato è quello più importante nel contesto “corruttivo” addebitato al giudice Marco Petrini che, secondo la Guardia di Finanza di Catanzaro, era disposto ad aggiustare un’ordinanza per l’ex consigliere regionale che, dopo la condanna a 6 anni di reclusione per mafia, aveva perso il vitalizio. Così, il giudice Marco Petrini si attiva per “pilotare” questa ordinanza che, tuttavia, non tratterà lui direttamente. Il magistrato in servizio presso la Corte d’Appello di Catanzaro parla della vicenda di Pino Tursi Prato come se fosse analoga a quella dell’ex numero due del Sisde, Bruno Contrada. Ma è un passaggio su cui torneremo più tardi.
Ciò che emerge dalle indagini sono i rapporti tra il medico in pensione Emilio Santoro detto Mario e il giudice Petrini. Un rapporto molto intimo e confidenziale, nonché delinquenziale, che Pino Tursi Prato racconta quasi incredulo al suo amico di vecchia data Nicola Adamo. «“Nicò, tu ci credi che c’è gente… che noi sottovalutiamo, ma hanno rapporti di fiducia, hai visto…. e Mario Santoro che è legato con un magistrato della Corte d’Appello, il quale l’altro giorno ha portato a Raffaele (si intende di Raffaele Mauro, ex direttore generale dell’Asp di Cosenza), tienitelo per te, a incontrare il presidente della seconda sezione penale… a Catanzaro, perché, perché eh, per la verità o il presidente ha chiesto a Mario, non so cosa doveva chiedere, dice no, dice ci parlo io con il dottore Mauro, ha detto perché non me lo porti qua che parliamo, ecco infatti l’ha portato a questo incontro a Catanzaro…».
La ricerca di denaro di Tursi Prato
Gli incontri decisivi per la trasmissione degli atti alla procura di Salerno si consumano tra il 3 agosto e il 17 agosto del 2018. Nel primo giorno Emilio Mario Santoro e Marco Petrini si vedono all’interno degli uffici giudiziari di Catanzaro, mentre quello con Luigi Falzetta e gli altri due indagati avviene nei pressi della commissione tributaria provinciale di Catanzaro. Il ricorso presentato da Pino Tursi Prato è stato trattato da un collegio differente da quello in cui poteva essere presente Marco Pettini. Infatti, il presidente del collegio giudicante era la dottoressa Gabriella Reillo, mentre il giudice relatore era Francesca Garofalo e infine il consigliere era il dottore Domenico Commodaro. L’udienza, svoltasi il 12 dicembre del 2018, metteva ansia a Turai Prato, impegnato a ricercare somme di denaro che sarebbero servite, a suo dire, per pagare l’onorario del legale incaricato di assisterlo.
I soldi richiesti da Tursi Prato a persone non meglio identificate – forse anche «usurai» – si aggiravano intorno ai 50mila euro. E fa capire che una parte di essi dovranno andare «al magistrato». Tursi Prato, infatti, intendeva ripagare il prestito con i soldi che la Corte d’Appello di Catanzaro gli avrebbe riconosciuto: circa 170mila euro. Una volta agganciato il giudice Marco Petrini, il presunto sistema corruttivo posto in essere da Tursi Prato, Falzetta e Santoro, troverebbe piena conferma allorquando il 9 maggio del 2019, ovvero sei mesi dopo la prima udienza in Corte d’Appello di Catanzaro, il giudice Petrini entra nella stanza della collega Reillo, chiedendole – come accertato dall’intercettazione audio-video – «“senti quella di Tursi Prato l’hai depositata?”» e la dottoressa Reilo, estranea all’attività illecita di Petrini, non intendendo bene a quale sentenza si riferisce Petrini, rispondeva: «“Eh… cos’era?”».
Il caso Tursi Prato «analogo a quello di Bruno Contrada»
Il giudice, proseguendo nella conversazione, voleva far passare il messaggio che il caso di Tursi Prato, come detto in precedenza, fosse tale e quale a quello di Bruno Contrada: «“Questo è un caso analogo a quel caso Contrada”», sostenendo, anche nell’occasione, che conosceva l’avvocato palermitano che si era occupato di tale vicenda. Vicenda, quella di Tursi Prato, che Petrini intende “promuovere” anche con un altro giudice della Corte d’Appello di Catanzaro, ovvero la dottoressa Francesca Garofalo, che avrebbe dovuto depositare l’ordinanza. Tutto ciò viene intercettato il 16 maggio del 2019 dai finanzieri di Catanzaro.
Per far vacillare Petrini, Santoro gli mandava messaggi di questo tipo: «“BJVENERDGAMBERJ”3”» che gli inquirenti hanno inteso come «“Buongiorno, venerdì gamberi”». Ma gli sms erano quasi tutti criptici. Ad esempio: «“VENERDCOM”» inteso come «“Venerdì presso la commissione tributaria”» oppure sempre riferiti ai crostacei. «“BJFACCJOTARDJGAMBERJ”» inteso come «“Buongiorno faccio tardi gamberi”».
I contatti con il presidente della Bcc del Crotonese
Tursi Prato, comunque, era in contatto anche con il presidente della Bcc del Crotone, Ottavio Rizzuto, arrestato oggi dalla Dda di Catanzaro con l’accusa di aver favorito la cosca Grande Aracri di Cutro. Il banchiere, ascoltando la richiesta di Pino Tursi Prato di prelevare mille euro, per conto di Santoro, avrebbe disposto l’elargizione della cifra presso la filiale di Cariati. Rizzuto, in questo caso, avrebbe rivestito il ruolo di “finanziatore”, come inquadrato dalla pubblica accusa. Quei soldi, dunque, sarebbero serviti per consegnare al giudice Petrini cassette di gamberoni, champagne, merluzzi e clementine.
La moglie del giudice aveva capito tutto
Di particolare interesse, secondo la Dda di Salerno, è la conversazione tra il giudice Marco Petrini e la moglie Stefania Gambardella, in servizio presso la Corte d’Appello di Catanzaro. Nel corso del dibattito tra i due, la donna critica il marito per come si comporta con lei, facendo riferimento al fatto che «“tu mi tratti come gli dici a quelli là che ti chiedono di interferire in qualche sentenza”». La risposta del giudice Petrini: «”Interferire? Ma nessuno me lo chiede Stefania…”» che tuttavia non convince la signora che al termine della conversazione afferma di essere «dispiaciuta», beccandosi un’imprecazione dal marito.
Tursi Prato preoccupato quando scopre che Petrini non fa parte del collegio giudicante
Il 12 dicembre del 2018 inizia l’udienza camerale in Corte d’Appello di Catanzaro. L’avvocato Stefano Giordano del foro di Palermo illustra i motivi secondo i quali il collegio giudicante avrebbe dovuto accogliere le richieste di Tursi Prato, mentre la procura generale chiede il rigetto del reclamo. L’avvocato informa il suo cliente dell’andamento della prima udienza, facendo i nomi del collegio giudicante e quando Tursi Prato apprende che non c’è quello di Petrini va in ansia e contatta Emilio Santoro che, qualche giorno dopo, incontra Petrini a Catanzaro. Il giudice, in questo incontro, lo avrebbe tranquillizzato, richiedendogli anche del pesce fresco e del buon vino per festeggiare l’arrivo del Natale. Passano cinque giorni e Petrini si reca nell’ufficio del giudice Commodaro, il quale specifica che «la problematica è complessa» e si dice «felicissimo di non essere messo relatore».
Sempre il giudice Petrini consiglia a Santoro di far presentare un’ulteriore memoria difensiva a Tursi Prato che, puntualmente, la deposita il 21 dicembre entrando presso la Corte d’Appello di Catanzaro, mentre Santoro e Petrini conversavano al di fuori. Tursi Prato, come accertato dai finanzieri, presenta la memoria e gli viene indicata la dottoressa Reillo quale destinataria della stessa. Così Tursi Prato bussa alla porta, chiamando la signora all’interno «“dottoressa”» e aggiungendo «“sono l’onorevole Tursi Prato….”» e la stessa risponde. «“Aaaaaaa, okay….”». Secondo quanto riportano gli inquirenti della Dda di Salerno, come evidenziato nell’ordinanza del gip Giovanna Pacifico, il colloquio tra i due è cordiale al punto che si intrattengono nel parlare del futuro deposito dell’ordinanza, fissato ormai dopo le festività natalizie.
Se la sentenza tarda ad arrivare
Nel mese di gennaio del 2019, Santoro e Petrini si incontrano un’altra volta, in un caso a Castrovillari, e di conseguenza il medico in pensione di Cariati riferisce i contenuti delle conversazioni a Pino Tursi Prato. Secondo Petrini, che si sarebbe “vantato” di aver scritto il provvedimento, la sentenza sarebbe dovuta uscire tra il 24 e 25 gennaio. Nel frattempo, Santoro spiega a Tursi Prato che deve portare altri soldi per darli al giudice, ma l’ordinanza ancora non arriva.
Se il medico in pensione minaccia di distruggere il giudice
Tursi Prato attende da mesi la decisione della Corte d’Appello di Catanzaro. Santoro incontra altre volte il giudice Marco Petrini che tra il 19 e 20 marzo attribuisce questo ritardo alla dottoressa Reillo: «“E’ lei che si è messa in mezzo…”». Questa dichiarazione del giudice scatena l’ira del medico in pensione minaccia di far pubblicare notizie contro la Reillo su una testata giornalistica: «”La distruggo, la distruggo”» esclama Santoro in presenza del giudice. Ma l’ordinanza non arriva neanche a marzo 2019.
«”Ma Pino è un “fratello”» chiede il banchiere Ottavio Rizzuto al medico in pensione Emilio Mario Santoro, che risponde: «”Sì, è dell’Opus Dei, lui”» Intercettazione della Dda di Salerno
Siamo ad aprile e i due amici, Santoro e Pettini, parlano in continuazione del caso di Tursi Prato. Il giudice chiarisce (il 3 aprile del 2019) che «“ho visto la collega, ha depositato tre giorni fa una causa di ottobre, loro vanno a periodo, hai capito? Quindi, ad ottobre ha depositato … a marzo, si… quindi il mese di dicembre…”» facendo intendere che Tursi Prato avrebbe dovuto attendere ancora qualche settimana. A fine aprile, però, Rizzuto e Santoro fanno intendere che anche Tursi Prato fa parte della massoneria. «Ma Pino è un “fratello”?» chiede il banchiere al medico in pensione e quest’ultimo risponde. «“Sì, è dell’Opus Dei, lui”». Che invece non è una loggia massonica, ma un’istituzione cattolica.
Quello che l’inchiesta non dice
Morale della favola: nessuno sa se l’ordinanza contro Tursi Prato sia stata realmente emessa o se sia ancora pendente in Corte d’Appello a Catanzaro. L’inchiesta della Dda di Salerno, infatti, non chiarisce questo aspetto, anche perché il racconto investigativo si interrompe il 6 giugno 2019, quando Petrini spiega a Santoro che ci sono sentenze favorevoli e contrarie simili al caso di Pino Tursi Prato. La sensazione è che il giudice abbia preso in giro, nel caso in esame, sia il suo amico Santoro che l’ex consigliere regionale. Anche perché i continui rinvii erano sempre circoscritti a richieste di somme o di “regali” che il medico in pensione si prodigava di fare al giudice della Corte d’Appello di Catanzaro.
Più che corruzione in atti giudiziari, dunque, sembra un caso di “induzione indebita a dare o promettere utilità” contestato a un pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, induca qualcuno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità anche di natura non patrimoniale. Tutto ciò è motivato dal fatto che non era Marco Petrini a scrivere materialmente il provvedimento che riguardava Tursi Prato, bensì un altro ufficio della Corte d’Appello di Catanzaro. Toccherà all’ex consigliere regionale spiegare come stanno le cose nell’interrogatorio di garanzia che sarà fissato nei prossimi giorni, alla presenza del suo legale Franz Caruso.