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Eccellenze secolari e mode (passeggere) imposte dal mercato, piccole aziende a carattere familiare e colossi della grande distribuzione, raccoglitori con contratti (quasi) regolari e lavoratori (a cottimo) stipati negli slums delle campagne affacciate sul tirreno. E ancora cartelli di compratori al ribasso, commercianti siciliani che acquistano prodotto calabrese per rivenderlo (magicamente) come isolano, e piccoli proprietari che per evitare di rimetterci, lasciano i frutti sulle piante.
E sullo sfondo il crimine organizzato che, grazie ai pesanti interessi nel settore, utilizza gli agrumeti per controllare il territorio e per guadagnare consenso. Il mercato degli agrumi in Calabria è un far west caratterizzato dalla sostanziale incapacità di fare rete tra gli agricoltori e diviso tra produzioni da primo premio, come la “belladonna” di San Giuseppe e il “biondo” di Caulonia, e coltivazioni meno pregiate, frutto di scelte strategiche stravaganti.