Tentata estorsione, stalking, maltrattamenti e, come se non bastasse, violenza sessuale. Accuse da far tremare i polsi quelle contestate ad Antonino S., 66enne originario del Siracusano, ma da tempo residente a Cosenza. Accuse che si sono rivelate poi completamente infondate. Eppure, per quel lungo elenco di vessazioni che si sospettava avvesse commesso ai danni della sua compagna, l’uomo è finito pure in carcere e c’è rimasto per quasi un anno prima che la misura fosse sostituita con un più blando divieto di dimora nella città dei Bruzi. Fatto sta che alla fine del processo, anche la Procura si è determinata a chiederne l’assoluzione poi sancita dai giudici in formula inappellabile: il fatto non sussiste.

Il quadro di partenza, invece, era a tinte fosche, anzi foschissime. Antonino S., infatti, era accusato di aver sviluppato una relazione più che tossica con quella donna, vedova e di sei anni più giovane di lui. Quest’ultima, infatti, aveva raccontato di essere stata sottoposta a violenze e umiliazioni di ogni tipo. “Sei la mia puttana” le avrebbe detto in un caso il compagno prima di costringerla ad avere rapporti sessuali con lui anche sotto la minaccia di coltelli e pugnali. In un’altra circostanza, l’avrebbe afferrata per il collo quasi fino a farle mancare il respiro. In quel modo, voleva costringerla a consegnargli la pensione di reversibilità del suo defunto marito. E poi maltrattamenti diffusi che, quando la donna decide di interrompere la relazione, si trasformano in persecuzioni quali presenza assidua sotto casa con dito incollato al suo citofono.

Tutto questo, riferiva la vittima, s’era verificato nell’estate del 2022 e, tempo qualche settimana, per il presunto aguzzino si spalancavano le porte del carcere di Vibo. Il processo, dicevamo, ha finito per ribaltare la percezione iniziale della vicenda. Durante il dibattimento, infatti, il difensore dell’imputato, l’avvocato Achille Francesco Esposito, ha fatto risaltare una serie di contraddizioni e incongruenze tra il racconto della parte offesa e quello fornito in aula da sua figlia. Versioni in alcuni punti inconciliabili quelle delle due donne, tant’è che il pubblico ministero, in via accessoria, ha chiesto la trasmissione in Procura degli anni che le riguardano. Rischiano rispettivamente l’incriminazione per calunnia e falsa testimonianza.