Covid, cinque anni fa a Codogno il “paziente zero”: Mattia Maestri fu il primo caso in Italia
Il 20 febbraio 2020 nel piccolo centro del lodigiano venne trovato positivo l'uomo salito suo malgrado alle cronache: «Ho avuto paura di morire, nessuno sapeva cosa fosse»
“Anno bisesto, anno funesto”. In molti a inizio 2020 avranno citato questa frase. E in effetti già il 1° gennaio spiravano venti non positivi, senza sapere che poi questo aggettivo sarebbe diventato sinonimo di morte. Fra tensioni internazionali sempre crescenti dopo l’omicidio del generale iraniano Soleimani, l’Australia in fiamme, terremoti in Turchia, il primo ceppo di Covid a gennaio in Cina faceva notizia, sì, ma con prudenza. Mai si sarebbe potuto pensare che quel virus avrebbe messo in ginocchio il mondo.
Cinque anni fa esatti, il 20 febbraio 2020, venne certificato il primo caso di Covid in Italia. Mattia Maestri, di Codogno, risultò positivo a questo nuovo, strano virus. Venne etichettato come “paziente zero”. A distanza di anni divenne poi il “paziente uno”, mentre la cittadina del lodigiano divenne suo malgrado famosa come prima zona rossa d’Italia. In venti giorni, la situazione precipitò e si arrivò al lockdown totale annunciato da Giuseppe Conte la sera del 9 marzo.
Il paziente uno del Covid in Italia: «Ho avuto paura di non farcela»
Intervistato da Repubblica, Mattia Maestri racconta i giorni precedenti alla scoperta della positività da Covid: «Pensavo fosse una polmonite, mi stavo curando con gli antibiotici. Non funzionarono e venni ricoverato, ma nessuno pensava potesse essere Coronavirus. Ho scoperto di averlo soltanto quando ho preso in mano il mio smartphone». Maestri venne dimesso dall’ospedale quattro mesi dopo, nel giugno successivo, quando l’Italia era uscita dal lockdown e provava a ripartire. Ma la pandemia non se n’era andata. E a novembre la Calabria divenne zona rossa.
La punta dello Stivale, che nella prima ondata era riuscita in qualche modo a evitare la strage, pagò anni di tagli alla sanità. E allora, quando vennero scoperti dei focolai di Covid sparsi nell’autunno successivo, ecco arrivare la decisione: zone rosse in provincia di Cosenza, poi tutta la regione bloccata. Fu un caos sanitario senza precedenti. I ricoveri aumentarono esponenzialmente, soprattutto sotto Natale. Terapie intensive al collasso, sanitari costretti a turni folli. A distanza di cinque anni, sembra solo un lontano ricordo. Ma cosa resta di quell’incubo? In Calabria, niente. Il mondo continua a girare, i medici continuano a fare turni massacranti e la vita prosegue. Come se fosse stato solo un incubo e non la dura realtà.