Una verità da laboratorio associata alla morte di Donato Bergamini. È quella che si fa largo sempre di più sulla scena del processo contro Isabella Internò, l’ex fidanzata del calciatore del Cosenza investito da un camion a Roseto Capo Spulico il 18 novembre del 1989.

“Padre nobile” dell’inchiesta

L’udienza di ieri, infatti, è servita a riaffermare il primato della medicina legale nell’inchiesta che, riaperta nel 2017 dopo una precedente archiviazione, punta a dimostrare che quello di Denis non fu un suicidio, bensì un omicidio. Sul banco dei testimoni ha preso posto il professor Vittorio Fineschi, ordinario di Medicina legale alla Sapienza e docente plurititolato, ovvero l’uomo al quale più di altri si deve la ripartenza investigativa. È lui che nel 2016 firma il parere pro veritate nel quale suggerisce il ricorso a tecniche immunoistochimiche di ultima generazione per far luce sull’accaduto, e all’epoca è questa la “nuova prova” che consente alle indagini di ripartire, passando proprio dalla riesumazione del corpo dell’atleta. In seguito Fineschi non prenderà parte alle fasi della seconda autopsia – la prima era stata eseguita a gennaio del 1990 dal professor Francesco Maria Avato, quaranta giorni dopo il decesso – e malgrado non figuri come consulente di alcuna fra le parti in causa, la Procura ha inteso convocarlo in aula un po’ come “padre nobile” dell’inchiesta.

«Era già morto»

L’audizione del luminare senese si è protratta per più di tre ore, buona parte delle quali dedicate a una lunga dissertazione sulla glicoforina, la chiave con cui l’accusa conta di risolvere il caso. Si tratta di una proteina del sangue che, secondo la dottrina Fineschi, utilizzata come reagente riesce a datare le lesioni su un corpo umano, a stabilire se le stesse siano state inferte in vita oppure da morto. E nel caso della ferita provocata dal passaggio del camion sul bacino di Denis, la glicoforina ha sentenziato: quando fu investito, era già morto. Come? Soffocato in modo soft con un cuscino o un sacchetto di plastica. Secondo il professore lo confermerebbero la microtraccia di sangue trovata sulla laringe del calciatore – sempre grazie al famoso reagente – e poi l’enfisema acuto rilevato sui frammenti di polmone repertati trentatré anni fa da Avato. Fineschi ha parlato «di assoluta certezza scientifica» dei risultati non soggetti, a suo dire, «a falsi positivi», e ha poi citato diverse pubblicazioni scientifiche che certificano la validità delle “sue” scoperte, l’ultima della quali risalente allo scorso anno e che lo vede come primo firmatario. Stimolato sul punto dall’avvocato Eugenio Anselmo, il testimone ha ricordato il contributo offerto dai suoi metodi nelle indagini sulle morti di Stefano Cucchi e Giulio Regeni, mentre riguardo al caso Bergamini, ha espresso la propria convinzione: che al passaggio del mezzo guidato da Raffaele Pisano, il calciatore «fosse già morto e disteso sull’asfalto in posizione supina».

I flop della glicoforina

I difensori della Internò, orfani di un consulente di parte a coadiuvarli in aula, lo hanno contrastato con poche e specifiche domande. Il controcanto di Angelo Pugliese e Rossana Cribari si è incentrato soprattutto sui precedenti flop giudiziari della glicoforina, sempre con Fineschi protagonista, vicende giudiziarie in cui la verità venuta fuori dai laboratori è entrata in conflitto con la logica e le evidenze investigative. I due legali gli hanno ricordato il caso di Mario Paciolla in Colombia (richiesta di archiviazione della Procura), quello di Carlotta Benusiglio a Milano (imputato assolto dall’accusa di omicidio) e soprattutto quello anch’esso archiviato di Manuel Piredda e Valentina Pitzalis in Sardegna, nel quale il docente toscano ipotizzava espressamente un altro «soffocamento soft» che nei fatti avrebbe trasformato la vittima in carnefice, e viceversa. E non solo. Se nel 2017 la glicoforina era solo un esperimento pilota, Pugliese ha fatto notare come l’ultimo lavoro di Fineschi sul tema, quello realizzato nel 2021, abbondi di condizionali e, non a caso, sia presentato in termini di «Studio sperimentale preliminare». Secondo il diretto interessato, in ambito accademico «si usa così per rispetto verso i colleghi».

Il ruolo di Testi e Bolino

A seguire è arrivata l’ora di Roberto Testi e Giorgio Bolino, altri due master della medicina legale, già autori fra il 2011 e il 2013 di tre perizie (due individuali e una collegiale) commissionate loro nell’ambito della precedente inchiesta. In quegli elaborati anche loro esploravano il tema del soffocamento e della vitalità delle lesioni. Parlavano di quadro «suggestivo» che rimandava alle stesse conclusioni di Fineschi, ma con diverse avvertenze, messe nero su bianco specie nell’ultima perizia a doppia firma. L’enfisema? Potrebbe essere un effetto della putrefazione. L’assenza di sangue tipico nelle lesioni non vitali? Possibile conseguenza della copiosa perdita ematica – l’asfalto di Roseto ne era pieno – causata dalla rottura dell’arteria iliaca di Bergamini. Entrambi sconsigliavano poi l’utilizzo della glicoforina e, più in generale, mettevano in guardia dai risultati che le pratiche immunoistochimiche avrebbero potuto offrire se applicate non su campioni di tessuto fresco, ma vecchi di ventisette anni come quelli in oggetto. Considerazioni che in buona parte i due specialisti hanno aggiornato dopo aver assistito all’audizione di Fineschi. Testi, in particolare, ha mostrato per lui una sorta di venerazione sublimata da un esempio tennistico – «Il suo curriculum è come quello di Federer» – mentre Bolino ha giustificato le cautele e i toni poco perentori del passato «con la mancanza di strumenti e informazioni». In conclusione è stata sentita la professoressa Margherita Neri, consulente della Procura nelle fasi della seconda autopsia. Prossima udienza l’otto novembre. Sul banco dei testimoni è atteso l’ex boss Franco Pino.