La Corte di Cassazione, prima sezione penale, ha rigettato il ricorso proposto da Alfonso Cosentino, 44 anni, originario di Cariati, confermando l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Catanzaro che ne aveva disposto la custodia cautelare in carcere per partecipazione ad associazione mafiosa con il ruolo di organizzatore della cosca attiva tra Cariati, le province di Cosenza e Crotone e la Germania.

Il procedimento trae origine dall’indagine della Dda di Catanzaro che, dal 2018, aveva ricostruito l’operatività della presunta ndrina di Cariati, inserita nel più ampio quadro delle articolazioni della ’ndrangheta calabrese. Secondo i giudici del riesame, Cosentino – detto Fofò – avrebbe svolto una funzione di raccordo operativo accanto al capo del gruppo, Giorgio Greco, contribuendo alla pianificazione delle estorsioni, alla gestione del traffico di stupefacenti, alla disponibilità di armi, al reimpiego di capitali illeciti e al controllo del territorio, anche attraverso collegamenti con cosche limitrofe come la Marincola di Cirò.

Il Tribunale aveva fondato il quadro indiziario su dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Aloe e Critelli, oltre che su intercettazioni telefoniche e ambientali raccolte tra il 2020 e il 2023. È stato valorizzato anche il presunto ruolo di mediazione svolto da Cosentino in episodi di conflittualità criminale, come la vicenda «Alterino» e un intervento per dirimere contrasti tra soggetti di Cariati e Cirò nel 2021.

La difesa, nel ricorso, aveva lamentato assenza di autonoma valutazione, mancata contestazione di reati-fine e omessa considerazione di elementi favorevoli all’indagato, tra cui l’incensuratezza e l’attività lavorativa. Gli ermellini hanno però dichiarato infondate o inammissibili tutte le doglianze.

La Cassazione ha richiamato la giurisprudenza consolidata secondo cui, nei reati associativi, la prova della partecipazione non richiede la dimostrazione della commissione di reati-fine. Ha inoltre escluso la violazione dell’articolo 292 del codice di procedura penale, precisando che l’obbligo di autonoma valutazione riguarda esclusivamente l’ordinanza genetica e non quella del riesame.

Sul versante delle esigenze cautelari, la Suprema Corte ha ribadito la vigenza della doppia presunzione di cui all’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, che - nei procedimenti per 416 bis - rende la custodia in carcere misura automaticamente adeguata, salvo prova contraria. Nel caso di Cosentino, il decorso del tempo, l’incensuratezza e l’impegno lavorativo non sono stati ritenuti elementi idonei a superare tale presunzione.