L’inchiesta sull’omicidio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo non è mai stata archiviata. A quasi quattro anni dall’agguato in Nord Kivu, la Procura di Roma si trova ora davanti a un elemento nuovo: una testimonianza diretta, acquisita nell’ambito delle indagini difensive dei familiari del diplomatico, che potrebbe spostare l’asse interpretativo dell’intero caso. Una pista mai emersa con questa chiarezza e che, se confermata, collocherebbe il convoglio del World Food Programme su un itinerario particolarmente sensibile: la zona di Rutshuru e Lueshe, dove si trova una delle miniere di pirocloro-niobio più strategiche dell’Africa centrale.

Secondo quanto riferito dall’operatore ascoltato dagli avvocati della famiglia Attanasio, il convoglio avrebbe avuto come destinazione finale un’area ben diversa da quella ufficialmente indicata. La testimonianza è accompagnata da cartografie, immagini e riferimenti tecnici che la Procura sta ora analizzando. La presenza della miniera di Lueshe, da anni al centro di interessi geopolitici e militari, introduce un livello ulteriore di complessità. Il niobio estratto in quella zona è utilizzato nella produzione di leghe metalliche resistenti a temperature elevatissime, impiegate nell’ingegneria aerospaziale e nello sviluppo di veicoli ipersonici. Materiali che, secondo numerosi report internazionali, sono particolarmente ricercati dalla Russia per programmi coperti dal segreto militare.

L’agguato del 21 febbraio 2021 rimane un mosaico di elementi ancora irrisolti. Il convoglio fu bloccato in area Kibumba, lungo una strada considerata relativamente sicura. Gli assalitori aprirono il fuoco contro l’autista, costringendo gli altri passeggeri a scendere. Attanasio fu trascinato verso una collina coperta dalla vegetazione, mentre Iacovacci tentava di proteggerlo. A quel punto accadde qualcosa che i testimoni definiscono un imprevisto: l’incontro con un gruppo di ranger che sorvegliava gli operai impegnati attorno alla zona delle “Tre Antenne”. È in quell’istante, secondo i rilievi compiuti subito dopo l’attacco, che i sequestratori avrebbero perso il controllo della situazione. Il carabiniere venne ucciso e l’ambasciatore ferito gravemente all’addome, morendo poco dopo nel presidio ospedaliero dell’ONU a Goma.

La nuova testimonianza mette in discussione la narrazione iniziale, secondo cui il gruppo armato avrebbe tentato un rapimento a scopo estorsivo sfociato poi in tragedia. La fonte, rimasta anonima per ragioni di sicurezza, parla invece di un “dossier sensibile” e di una missione dell’ambasciatore che nessuno avrebbe pienamente compreso. Aggiunge di aver subito furti sospetti nella propria abitazione e di temere ritorsioni. È un dettaglio che gli inquirenti stanno valutando con cautela, consapevoli che la zona è teatro da anni di conflitti, bande armate, interessi economici sovrapposti e operazioni clandestine difficilmente tracciabili.

Il fascicolo aperto un anno fa, dopo la decisione del gup di dichiarare il non luogo a procedere per i due dipendenti del Pam accusati inizialmente di negligenza, resta dunque al centro dell’attenzione dei magistrati. L’inchiesta procede contro ignoti, ma ora ha sul tavolo documenti che suggeriscono un contesto più ampio del semplice attacco di una banda locale. L’ipotesi che la presenza dell’ambasciatore in quell’area possa essere stata collegata, direttamente o indirettamente, agli equilibri di controllo sulle risorse strategiche del Nord Kivu apre scenari che fino a pochi mesi fa apparivano impensabili.

Resta da chiarire perché il convoglio transitasse in una zona che molti operatori umanitari considerano da anni ad alto rischio, nonostante fosse classificata come “green route”. Resta da comprendere se ci fossero informazioni preventive su possibili minacce, e se la presenza di Attanasio potesse costituire un obiettivo di interesse per gruppi armati con legami internazionali. E resta un altro punto, sollevato dalla stessa fonte: “Finora la verità è un incubo, perché nessuno sa quale fosse la sua missione”. Un’affermazione che non offre certezze, ma che aggiunge un tassello alla percezione di un caso ancora lontano dall’essere chiuso.

Il nuovo materiale sarà ora esaminato dagli inquirenti, chiamati a valutare l’attendibilità della fonte, la coerenza dei documenti e la verosimiglianza del collegamento con l’area della miniera di niobio. Un lavoro complesso, in un contesto geopolitico fragile e segnato da interessi che travalicano i confini del Congo. Per la famiglia Attanasio, che da quattro anni chiede risposte, queste informazioni rappresentano una possibilità: che la ricostruzione dell’agguato venga finalmente sottratta all’opacità che l’ha circondata sin dal primo giorno.