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«Se l’ostetrica avesse effettivamente eseguito correttamente le varie disposizioni contenute nelle linee guida sul parto domiciliare, il neonato sarebbe sopravvissuto». È quanto scrivono i giudici del Tribunale di Monza nelle motivazioni della sentenza sul caso del parto in casa avvenuto nel 2022 e conclusosi con la morte di un neonato.
Ad aprile, l’ostetrica Anna Maria Cuozzo, 73 anni, è stata condannata a un anno e sei mesi di reclusione (pena sospesa) e al pagamento di una provvisionale di 280 mila euro per omicidio colposo.
Le criticità del parto
Il cordone ombelicale, avvolto più volte intorno al collo del bambino, aveva provocato un soffocamento che avrebbe richiesto un trasferimento immediato in ospedale. Solo dopo il parto, il piccolo è stato portato al San Gerardo, dove è rimasto in condizioni disperate per due giorni, prima di morire.
Secondo la sentenza, la professionista avrebbe violato le linee guida sul parto domiciliare, ignorando sin dall’inizio anche il peso del nascituro, considerato elevato, condizione che avrebbe dovuto escludere il parto in casa.
Le omissioni contestate
Tra le gravi mancanze evidenziate dal Tribunale, c’è l’assenza di un adeguato monitoraggio: «Le buone prassi in materia di parto domiciliare prescrivono il controllo del battito cardiaco del feto, della pressione arteriosa e della temperatura della madre», scrivono i giudici. L’ostetrica, invece, avrebbe eseguito un solo rilievo all’inizio dell’intervento, senza ulteriori controlli.
Infine, viene sottolineata la mancata presenza di una seconda ostetrica, richiesta espressamente dalle linee guida: una violazione ritenuta particolarmente grave dai magistrati, che hanno ravvisato una condotta negligente con conseguenze fatali.