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Il popolo dei Novanta, esercito silenzioso e inesorabile, bipartisan e senza ceto, che ha scelto come inno della vita “T’appartengo”, ha trovato pane per i suoi denti lo scorso martedì a Cosenza, quando uno show in piazza ha raccolto malinconie come ciliegie a giugno, in una notte d’estate afosa che non ha scoraggiato i migliaia di nostalgici uniti dal festeggiare il ricordo di quando si stava meglio (anche se si stava peggio).
Certo erano tutti un po’ cresciuti, con le chiavi dell’auto in borsa e quelle del motorino nel cassetto, ma non così diversi. Via le frangione gonfiate col phon e le onde caprine degli Inventaricci, le schiarite di Crystal Solaire, il profumo Giorgio Beverly Hills. Adesso che i doc Martens’ li prendi su Zalando e non nell’unico negozio che trent’anni fa era preso d’assalto su corso Mazzini, a farla da padrone sono le ciabatte deluxe Birkenstock, le più aggiunte nei carrelli di Vinted, e i carré à la Ferragni (cosa che ormai ad alta voce non si può dire, per pudore dei pandori).
Com’eravamo
I ragazzi di piazza Kennedy non s’affaticano più a inseguire il Costabile delle otto e venti, l’ultimo della giornata, ma conservano con criterio il passeggino nel bagagliaio, ché non si sa mai i bimbi si stanchino di camminare sull’isola pedonale. A Cosenza piace, ogni tanto, far fare un giro all’inverso alle lancette: basta un concerto, un evento, a volte anche un post, per riportare tutti a quando le pance erano meno pronunciate, le gonnelline sempre tartan e i grattacapi, su quanto mettere a testa per la pizzetta al Black Orchid, erano una cosa molto seria per i conteggi di fine serata, perché i resti spicci andavano dritti dritti al fondo cassa dedicato ai pacchetti di sigarette da spaccare: due Amadis a testa e due Diana Blu con più fango che tabacco dentro, e con l’odore di terra bagnata che fulminava i baci nascosti tra i muretti di via Alimena.
Interrail e colombe
Vent’anni fa, trent’anni fa, quando tutto ancora doveva succedere, si parlava, appoggiati alla discesa di Besser, di impegni sul futuro solo in termini di durata dell’Interrail. Le colombe di Baccelli ora sono volate un po’ più giù. I graffi sulla base sono spariti, i tatuaggi, di nomi e cognomi e date, livellati. Sembrano anche più spennate a vederle di sfuggita, ma ugualmente belle, quasi proibite, come un tempo.

Le ex comitive amano rispolverare sui social l’anedottica di classe, i fattarelli delle gite, i cognomi e soprannomi. Nessuno ha più fretta di agganciare l’Atac che un tempo faceva corse fino alle nove e mezza – fermata obbligata a Occhiuto&Bozzo, per chi scarpinava verso casa a Rende – tutto si prenota via app, anche il posto al pub (e sempre che non sia una buona serie su Netflix, in tal caso meglio Deliveroo e via, si mangia sul divano).
Sembra una manciata di tempo fa, invece ne è passata di acqua nel Busento da quando i genitori, con il pigiama sotto e il cappotto sopra, i figli più nottambuli e senza patente, li raccoglievano alla Farmacia Serra (sotto la Esse o sotto la Erre) o alle cabine telefoniche all’angolo di piazza di Fera. E se avevi il fidanzato, quello spariva prima che i fanali lo illuminassero a raggiungere gli amici rimasti a bivaccare da qualche parte.
Le serate, all’epoca, iniziavano presto. Alle sette e mezza davanti al ristorante cinese c’era già una moquette ciarlante che si srotolava giù fino al cuore di piazza Kennedy, dove stavano i più grandi e le nonne ti dicevano di non andare mai, ché giravano i drogati e i giovinastri. Il sabato era tutta una processione che rombava sulle due ruote degli Sh50 e delle Sfere, dei Booster di quelli dello Scientifico, delle Rover di quelli del Classico, delle Citroen e delle Renault (specie la R4) che erano più trasversali.
I “branchi” di scuola
Le zone della piazza erano divise tra i “branchi” di scuola: via Alimena centrale aveva gli aromi di mandarino e arancio del Dolce&Gabbana rosso adorato dalle ragazze del Telesio, tutte con i capelli a caschetto virgolettati all’insù e due Barbour nell’armadio – uno per l’uso corrente, l’altro mandato a ingrassare in Inghilterra – i charms ai polsi e il foulard annodato al collo, à la maniera delle hostess Pan Am. Sulla scia del marciapiede di Pranno convogliavano in ordine sparso: i Classici di Rende (i figli del dio minore), e varie specie di Scientifico con le Gazzelle ai piedi e qualche imitazione blu del giaccone britannico. Industriale e Ragioneria presidiavano l’altra ala, quella che portava al Tappo e la discesa era un misto di comitive ciarlanti di gite, settimane bianche, pranzi dei cento giorni, occupazioni e striscioni.
Un Carnevale di Naj Oleari, borse Shiva, jeans Best Company e scarpe Benetton transumava verso via Caloprese prima che si facesse ora. L’ora di tornare a casa, che arrivava troppo presto, giusto il tempo di finire il cono alla Casa del gelato e del frullato che adesso, come quegli anni, non c’è più.