La denuncia in una conferenza stampa tenuta a “La Base”: «Il tempo massimo per essere convocati è di sei mesi, noi siamo qui da due anni». E USB il 25 novembre sarà sotto la Prefettura per chiedere spiegazioni
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Una tragica sospensione nella terra di nessuno, una fuga dalla guerra e dalla dittatura che li ha portati a Lampedusa nell’agosto del 2023. Adesso, però, sono poco più che fantasmi periodici. La storia di Youssef e di suo cugino, Youssef anche lui, è anche quella di tanti altri immigrati presenti nei centri di accoglienza sparsi sulla provincia di Cosenza. I due ne hanno parlato nella sede di USB a Cosenza.
Sono quasi un migliaio gli immigrati nei centri di accoglienza del cosentino che si trovano nella loro stessa situazione: provenienti da paesi francofoni nei quali la dittatura è o era al potere (ma anche laddove è caduta, non mancano le cellule terroristiche), sono arrivati in Italia in uno dei tanti sbarchi che si sono succeduti sull’isola. La procedura prevede che la commissione provinciale, con sede a Crotone, li riceva entro un massimo di sei mesi. Ma loro, in due anni, non hanno ricevuto neanche una convocazione.
«Io voglio contribuire e aiutare l’Italia, ma come faccio?»
«Sono arrivato a Lampedusa due anni fa – racconta Youssef – e lì mi hanno chiesto il nome, da dove venissi e mi hanno preso le impronte digitali. Io non sono venuto qui per non fare nulla, io sono venuto qui per lavorare: ma se la commissione territoriale non mi riceve, come posso fare?». La storia di Youssef parte dal Burkina Faso, da dove è partito alla ricerca di una vita migliore: «Voglio ringraziare il Governo Italiano perché ci ha salvato in mare. Siamo scappati dai terroristi: per restare umani, dovevamo andare via. Non è colpa nostra».
La storia di Youssef è quella di tanti altri ragazzi provenienti non solo dal Burkina Faso ma anche da tanti altri paesi francofoni, come Mali, Gabon e Benin. Lo spiega Stefano Catanzariti di USB: «La commissione territoriale di Crotone, che doveva riceverli entro sei mesi, non l’ha mai fatto. Non hanno avuto neanche la prima convocazione». L’iter per gli immigrati prevede, dopo lo sbarco, l’identificazione con presa delle impronte digitali da parte delle forze dell’ordine presenti e dichiarazione del luogo di provenienza. Da lì, entro sei mesi deve esserci la prima convocazione dalla commissione territoriale. Ma le nuove leggi hanno messo un freno al lavoro.
USB: «Il 25 novembre chiederemo incontro alla Prefetta»
«Con le nuove normative – spiegano i ragazzi – spesso però la commissione sbriga prima le pratiche degli immigrati che arrivano da Paesi non a rischio, come Egitto, Tunisia e alcune nazioni asiatiche. Così noi restiamo in coda e i tempi si allungano». Senza l’analisi della commissione territoriale, sono costretti a restare nei centri d’accoglienza senza possibilità di avere un futuro, un lavoro, lo status di rifugiato o il permesso di soggiorno. «Io sono venuto qui per lavorare e dare una mano – ripete Youssef – ma come faccio se non vengo mai convocato?»
A prendere le difese dei ragazzi, l’Unione Sindacale di Base. «Per il 25 novembre – spiega Catanzariti – terremo un presidio sotto la Prefettura e chiederemo di essere ricevuti dalla Prefetta e dall’Ufficio Immigrazione della Questura. Anche perché i visti che vengono dati ai ragazzi scadono dopo due o tre mesi da quando li ritirano. Questioni burocratiche – aggiunge il sindacalista – ma non possiamo più stare a guardare: per questo non solo chiederemo spiegazioni, ma porteremo anche delle proposte per avere delle migliorie sulla gestione delle problematiche e dei tempi». Non solo, perché sempre l’USB ha proposto un incontro nei prossimi giorni con la Curia, «che ha preso molto a cuore la situazione».


