Il videomessaggio del Papa, registrato con un vecchio Nokia, con audio ambientale da cresima del ’92, ha incorniciato il momento liturgico della lunga, lunghissima messa di mezzanotte chiamata Sanremo, finita dopo l’una con la prima cinquina. Ed ecco i nomi, non in ordine di votazione, scelti dalla sala stampa: Brunori, Giorgia, Lucio Corsi, Simone Cristicchi, Achille Lauro.

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Carlo Conti porta così a destinazione il vascello Sanremo, senza scossoni e danni a persone o cose. Nessun vento di burrasca ha dato da mangiare al popolo affamato di dissing. Nessuno ha minacciato di gettarsi dalla balconata, nessuno ha detto una parola fuori posto, nessuno ha insultato Bugo. Il trio Conti, Gerry Scotti e Antonella Clerici, perfetto nella conduzione, con i tempi giusti e l’occhio che non indugiava sul gobbo, ha regalato tanti di quegli sbadigli da far rimpiangere la fusciacca della Ferragni e la letterina piccolakiara.

L’unico psicodramma della giornata è stato il falso allarme partito dalla solita sirena per i poco accorti naviganti, cioè Fabrizio Corona. Ma la notizia delle canzoni hackerate a poche ore dal festival, si è rivelata un finto scandalo da pochi brividi. Anche Fedez, ingessato come se avesse la giacca imbottita di cemento, ha cantato senza sbroccare sgranando gli occhi tinti di nero, deludendo quanti speravano almeno in un fuorionda degno del biondino dei Ricchi e Poveri. Tanta era la voglia che accadesse qualche psicodramma, che alla fine poco ci è mancato che avvenisse per isteria.

Santone per una notte, Jovanotti, avvolto in un dorato stazzonato come l’involto del Ferrero Rocher, che per poco non cadeva (di nuovo) sulle scale esterne dell’Ariston. La maledizione di Sanremo, stava per infierire sul femore di Lorenzo, dopo aver colpito le costole di Kekko dei Modà e la caviglia della Michielin. L’Ariston ha rischiato la nomea di Christine la macchina assassina.

Ma allora parliamo di musica e cantanti: in pochi, pochissimi emergono da un piattume generale. I giovani sempre più vecchi, i più navigati sempre più giovanili.

I superfavoriti come Achille Lauro, abbigliato come un prestigiatore senza coniglio e senza magie, Elodie, avvolta nella stagnola salva-lasagna, e Rose Villain in rosso abbagliante, non hanno regalato grandi volteggi, solo molta apparenza nel grande capitolo della fuffeide.

Simone Cristicchi, ha consegnato al pubblico un testo di grande impatto emotivo su un’armonia non di grande presa; Massimo Ranieri ha fatto Massimo Ranieri e Giorgia idem: grande voce, brano raffinato, niente di indimenticabile. Da tenere d’occhio Lucio Corsi, vero outsider del festival. Belle sonorità e grinta da vendere (finalmente) le abbiamo viste e sentite con Serena Brancale. I Coma Cose, pronti per Nightmare Before Christmas, si candidano a diventare il tormentone della prossima campagna telefonica; Tony Effe, nato incendiario diventa un pompiere travestito da chaffeur di don Vito Corleone. Un mezzo disastro.

Brunori: «Sono riuscito a non pensare a niente»

Dario Brunori, emozionatissimo, con un outfit “modugnano”, intorno a mezzanotte, finalmente ha consegnato al pubblico la canzone che tutti aspettavano. «Sono arrivato sul palco e si è creato una sorte materasso e sarei rimasto un’altra mezz’ora a suonare, sono stato molto bene. Mi sono sentito a teatro e incredibile non pensare alla televisione ma di essere in un contesto teatrale» ha detto a caldo ai microfoni di Radiodue. L’albero delle noci, delicata ed elegante, ha invaso l’Ariston di sonorità incantevoli, omaggio a un cantautorato storico che un tempo aveva qualcosa da dire e i mezzi per dirlo. “Sono cresciuti troppo veloci questi riccioli meravigliosi / E ora ti vedo camminare con la manina in quella di tua madre / E tutta questa felicità forse la posso sostenere / Perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore / E posso navigare sotto una nuova stella polare”. Applausi. E la Calabria adesso ci crede ancora di più.