Ecco i verbali di Daniele Lamanna: «La “bacinella unica” non c’è più»
L’unico modo per avere riscontri sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è quello di fare le indagini. Indagini che spesso durano anni e quindi non colgono fino in fondo il mutamento criminale delle varie associazioni mafiose presenti sul territorio. Succede un po’ ovunque e in particolare a Cosenza, dove gli equilibri sarebbero cambiati all’indomani delle varie
L’unico modo per avere riscontri sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è quello di fare le indagini. Indagini che spesso durano anni e quindi non colgono fino in fondo il mutamento criminale delle varie associazioni mafiose presenti sul territorio. Succede un po’ ovunque e in particolare a Cosenza, dove gli equilibri sarebbero cambiati all’indomani delle varie operazioni antimafia.
Nei giorni scorsi vi abbiamo dato conto della relazione semestrale della Dia, dalla quale emerge come nel capoluogo bruzio vige una confederazione tra clan nata tra il 2010-2011. Le varie cosche avrebbero unito le forze, dividendosi il territorio. C’è chi gestiva le estorsioni, chi l’usura, chi le rapine e chi il traffico di droga. Tutti i proventi illeciti confluivano in un’unica “bacinella”, emersa dai racconti dei pentiti. Proprio un collaboratore di giustizia oggi spiega che la situazione è cambiata. Parliamo di Daniele Lamanna.
E’ l’estate del 2014 quando l’esecutore materiale dell’omicidio di Luca Bruni, alla luce di alcuni episodi che egli stesso racconta ai magistrati della Dda di Catanzaro, decide di allontanarsi dal gruppo “Rango-zingari”. Secondo il pentito le cose non andavano bene e sarebbero venuti meno dei rapporti di fiducia che avevano contraddistinto i primi anni dell’alleanza, o pax mafiosa.
Il collaboratore di giustizia, sentito il 4 ottobre del 2o16 nell’ambito dell’inchiesta antimafia “Cinque Lustri” contro il clan Muto e il gruppo imprenditoriale dei Barbieri, affronta in maniera più decisa l’argomento che aveva anticipato in un altro verbale depositato nel processo che si sta svolgendo a Cosenza.
L’incipit è la presunta tentata estorsione per piazza Bilotti che sarebbe stata portata avanti da Mario Piromallo e Giuseppe Caputo per conto del clan “Lanzino”, ma che Franco Muto pare abbia bloccato. «Il fatto che noi del gruppo Bruni-zingari fossimo stati tenuti fuori dalla gestione dell’estorsione a Piazza Bilotti in verità si spiega con tutta una serie di accadimenti che portano nell’aprile-maggio del 2014 alla rottura degli accordi di cd. confederazione» dichiara Lamanna agli inquirenti coordinati dal procuratore capo Nicola Gratteri.
Lamanna, inoltre, dice agli investigatori di essere stato uno dei promotori della “bacinella unica”. «Fui io per conto dei Bruni e degli zingari, unitamente a Michele Bruni, a siglare l’accordo per la costituzione di un’unica bacinella. Avemmo più incontri con Ettore Lanzino, Franco Presta, Renato Piromallo, Francesco Patitucci e Umberto Di Puppo», aggiunge il collaboratore di giustizia.
«Morto Michele Bruni ero io a dovere garantire questo patto» ma «nel corso degli anni ho potuto verificare direttamente una serie di violazione degli accordi», evidenziando che «Franco Bruzzese prima, nel corso del 2011, Luigi Abbruzzese e Filippo Solimando dopo, facevano arrivare a Cosenza “sottobanco” eroina ed altro stupefacente in violazione degli accordi che prevedevano che tutti gli introiti del traffico di stupefacente dovessero confluire in bacinella per essere spartiti». Lamanna afferma che «gli italiani, dal canto loro, si ingerivano nelle estorsioni nel senso che è capitato più volte che andassimo a chiedere il “pizzo” a qualcuno che opponeva di essere amico di uomini di rispetto».
A tal proposito Lamanna dichiara di essere a conoscenza che Maurizio Rango ebbe una discussione con Rinaldo Gentile. «In questa situazione ricordo che, ad aprile-maggio del 2014, venni convocato all’ultimo lotto al cospetto di: Maurizio Rango, Tonino Banana, Luciano Impieri ed Ettore Sottile. Rango lamentava le ingerenze degli italiani nel settore estorsioni e ne ricordo i toni particolarmente spiacevoli» ma Lamanna dice di non aver condiviso questa linea. «Feci notare a Rango che io non mi ero mai permesso di usare quei toni sebbene, ai primi anni 2000, avessi eseguito la guerra fianco a fianco con Michele Bruni e contro gli italiani. E poi nel 2010, avevo siglato una pace della quale ero responsabile. Mi congedai e andai immediatamente da Mario Gatto al quale dissi di quanto le pattuizioni e cioè la condivisione degli affari illeciti erano stati clamorosamente violati da una parte e dell’altra».
A quel punto vi sarebbe stata un’altra riunione che «durò pochissimo, solo il tempo di dire che non c’erano le condizioni per continuare a gestire una bacinella comune. Ognuno di noi aveva chiaro che era imminente una guerra. Per quel che mi risulta gli Zingari, dopo questa rottura, iniziarono a effettuare richieste estorsive ancora più pressanti compulsando persino coloro i quali vendevano panini allo stadio», aggiungendo che «avevo conferma del fatto che la situazione stava precipitando e penso che soltanto l’operazione Rango-zingari ha scongiurato una nuova guerra. Malgrado i tentativi di contattarmi di Maurizio Rango sono rimasto defilato salvo poi allontanarmi da Cosenza per la Toscana nel luglio del 2014. Un contegno analogo al mio è stato tenuto da Luciano Impieri il quale mi aveva sempre detto che ero pazzo a considerare non adeguato Maurizio Rango ma ha finito per darmi ragione nel corso del 2014 poco prima della rottura della bacinella quando mi raccontò della pretesa di Maurizio Rango di fargli chiedere denaro a titolo estorsivo in danno» di un uomo che «gestisce un’impresa di pompe funebri in via Popilia». Anche in questo caso sarebbe intervenuto Franco Muto.
Lamanna infine chiarisce i motivi che lo avrebbero portato a rifiutare «il grado di Trequartino che mi era stato offerto da Franco Bruzzese e da mio fratello a nome della confederazione». Oggi Carlo Lamanna è sottoposto al regime del carcere duro ma ne parleremo in un altro momento. (Antonio Alizzi)