Quando la Giustizia è una giungla. Si salvi chi può…
Dopo aver raccontato nelle ultime ore la vicenda giudiziaria che ha travolto il giudice Marco Petrini, è adesso il tempo delle riflessioni e il momento di mettere i puntini sulle “i”. La regione Calabria, purtroppo, non è una terra fortunata. Lo è dal punto di vista paesaggistico, visto che le montagne, il mare e le
Dopo aver raccontato nelle ultime ore la vicenda giudiziaria che ha travolto il giudice Marco Petrini, è adesso il tempo delle riflessioni e il momento di mettere i puntini sulle “i”. La regione Calabria, purtroppo, non è una terra fortunata. Lo è dal punto di vista paesaggistico, visto che le montagne, il mare e le colline (oltre all’agrolimentare) ce li invidiano tutti ma per il resto c’è da poco da salvare. Siamo onesti, almeno per una volta, con noi stessi. Viviamo in una terra difficile, dove la ‘ndrangheta continua a proliferare come se fosse una multinazionale. Viviamo in una regione dove la “resistenza” contro il potere e la corruzione non fa mancare la sua voce, ma tutto ciò non basta per risollevarci. Perché poi arriva l’inchiesta della Dda di Salerno e il mondo ci crolla addosso, anche a noi che ne scriviamo.
Se avessimo avuto un dubbio sul fatto che un giudice e “faccendieri vari” potessero mettersi d’accordo per aggiustare una sentenza, di sicuro la scena non l’avremmo mai potuta immaginare come quella descritta nell’ordinanza “Genesi“, firmata dal gip distrettuale Giovanna Pacifico. Perché la nostra immaginazione non avrebbe mai superato la realtà. Non avremmo mai pensato, ad esempio, che un giudice che guadagna oltre 7mila euro al mese fosse in una situazione finanziaria drammatica e che forse anche per questo motivo (oltre che per un’inclinazione alla disonestà) si mettesse a violare la Legge. Non avremmo mai ipotizzato che un giudice avesse rapporti sessuali in luoghi dove la Giustizia dovrebbe trionfare sempre e comunque, sia quando le sentenze ci piacciono e sia quando vanno contro i nostri interessi.
Ed invece, siamo qui a domandarci come sia possibile che un giudice della Corte d’Appello di Catanzaro – che trattava omicidi, stragi, terrorismo e procedimenti di rinvio della Corte di Cassazione – contasse i soldi delle “mazzette” nel suo studio, ripreso dalle telecamere installate dalla Guardia di Finanza. Una scena degna delle migliori sceneggiature di Martin Scorsese. Non avremmo mai potuto credere che un giudice potesse in qualche modo interferire con il lavoro dei suoi colleghi, quando l’imparzialità, la genuinità e la libertà di azione dovrebbero essere tre virtù di ogni magistrato. Non avremmo quindi sostenuto, se tutto ciò non fosse avvenuto, che la Giustizia in Calabria non è credibile.
Noi, tuttavia, vogliamo credere che la Giustizia in Calabria sia ancora credibile. Perché ci sono giudici, magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine che non si girano dall’altra parte quando le indagini portano a galla il “malaffare” dei politici amici. Crediamo in una Giustizia vera e non di parte, che si basa esclusivamente sulla conoscenza degli atti. Non crediamo nella Giustizia ad orologeria, che manda in carcere politici in prossimità delle elezioni, per favorire altri. Crediamo in una Giustizia esemplare, dove i giudici a malapena salutano gli avvocati in udienza e non li ricevono nel proprio ufficio per parlare di indagini della Dda di Catanzaro. Crediamo, però, nella separazione delle carriere dove chi oggi svolge il ruolo della pubblica accusa domani non può fare il giudicante.
Crediamo, inoltre, nella Giustizia che non ha interessi economici mentre svolge le sue funzioni, avvantaggiando l’imprenditore di turno. Crediamo, dunque, in una Giustizia giusta che non assolva imputati o gli riduca la pena, dopo lauto compenso. Crediamo, oggi come ieri, che i magistrati siano una parte fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata e non ci sogniamo di dire che oggi la magistratura calabrese è come la ‘ndrangheta. Perché la mafia, da Reggio Calabria a Castrovillari, deve essere combattuta senza guardare in faccia a nessuno. Crediamo, tra le altre cose, in una Giustizia dove l’avvocato si mantiene distante dal suo cliente, difendendo il diritto alla difesa dell’indagato (o imputato) e non l’interesse di qualche giudice. Crediamo, infine, nella Giustizia. Perché senza di essa saremmo in una giungla.