A Guarascio non piace parlare degli arbitri. Non piace, in generale andare contro le governance del calcio. Lo hanno capito sulla loro pelle tutti i direttori sportivi e allenatori transitati da Cosenza. Tutti. A partire da quando il Messina vinse il campionato sul collettivo di Gagliardi, fino a passare da Meluso per arrivare a Trinchera.

Fiore e Leonetti parlavano di una struttura societaria “più esperta di calcio”, riferendosi all’epoca ai giallorossi, per far capire al numero uno del club che doveva farsi sentire. 

Meluso intervenne sulla stampa in prima persona e fu richiamato dal patron. «Mai andare contro la classe arbitrale o contro la Lega» tuonò al telefono dopo il caso-Catania. Ma il ds se ne infischiò e continuò a far ciò che voleva per tutelare lo spogliatoio. 

Anche Trinchera, fin dallo scorso campionato, è stato avvertito di non proferire parola e di non esagerare. Stesso diktat per Braglia: vietato calcare la mano nelle conferenze. Quando lo ha fatto, gli è stato fatto notare.

Sinceramente, non se ne può più. Perché se Guarascio crede che basti una parolina in Lega durante le riunioni o una delle sue letterine di protesta, sbaglia. Sbaglia come al solito tutti i tempi del calcio. Dopo la colossale svista del secondo collaboratore dell’arbitro, servono proteste eclatanti. Serve fare qualcosa che Guarascio non ha mai fatto: alzare la voce e fare il presidente del Cosenza

In sala stampa ieri sera si è sfiorato il ridicolo. Braglia leone in gabbia, dal tono “vorrei, ma non posso”, e Guarascio lontano dai microfoni. Se il patron pensa che basti far leva sul sentimento di tifosi e giornalisti sbaglia. Si sporchi le mani per una volta.