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Più o meno un anno fa, alla settima giornata, mi mettevo in viaggio alla volta della prima trasferta stagionale. Direzione Alessandria, come ricorderete. Il Cosenza di Zaffaroni arrivava al Moccagatta sull’onda di due vittorie consecutive (Como e Crotone) e quattro risultati utili di fila, che avevano fatto presto dimenticare l’avvio ad handicap (le sconfitte con Ascoli e Brescia, oltre a quella in Coppa Italia con la Fiorentina). Dieci punti in classifica il bottino (ottimo) con cui i Lupi giunsero alla prima sosta di campionato, la stessa che ci attende dopo la sfida col Sudtirol.
Tornai a casa da Alessandria piuttosto sereno, nonostante la sconfitta. La prova dei rossoblù non era stata granché, ma ero convinto che, con qualche patema, avremmo lottato per la salvezza. Le cose, come sappiamo, sono andate diversamente (il playout, per me, è molto più di un qualche patema e le mie tre ore di silenzio quasi assoluto tra Vicenza e Firenze dopo la gara d’andata al Menti me lo ricordano ancora).
Nei giorni scorsi mi sono ritrovato per lavoro a Gaiole in Chianti, dove tra il 1° e il 2 ottobre si disputerà la venticinquesima edizione de L’Eroica. Che, per chi non lo sapesse, è una corsa ciclistica sulle cosiddette strade bianche, ovvero gli sterrati che attraversano vigneti e crete senesi. Assieme all’ideatore, Giancarlo Brocci, ne abbiamo ripercorso un po’ di storia. Siamo partiti con 92 partecipanti nel 1997, stavolta saranno più di novemila, mi ha detto orgoglioso. E ha ricordato come, alla fine degli anni Novanta, le strade bianche fossero nel giudizio comune ridotte a sinonimo di degrado. Erano cioè quelle strade che i Comuni non erano riusciti ancora ad asfaltare, a rendere carrabili e transitabili, e non un passato/presente da preservare. L’Eroica ebbe il coraggio di rimetterci sopra le biciclette di un ciclismo amatoriale d’altri tempi e le ha trasformate in un marchio vivacissimo. Non una Operazione nostalgia, ma un argine allo sviluppo sfrenato in nome di Coppi e Bartali, ma pure della tutela ambientale. I nostri valori, ha concluso Giancarlo, alla fine sono risultati vincenti.
Dopo la sconfitta in casa contro il Bari, ho sentito non pochi indicare Sudtirol quasi come un’ultima spiaggia: dobbiamo vincere a tutti i costi, mi dicono gli amici. C’entrerà di certo il richiamo epico della sfida, quasi che tornare al Druso sia un po’ come come rimettere piede sulle nostre strade bianche, quelle della cavalcata playoff del 2018. C’entra sicuramente il confronto con Pierpaolo Bisoli, protagonista (assai rimpianto da molti) della salvezza conquistata appena quattro mesi fa e oggi sulla panchina biancorossa. E c’entra pure il fatto che, dopo le tre sconfitte dell’avvio, consideravamo gli altoatesini una predestinata alla retrocessione, mentre due vittorie (contro Pisa e Como) li hanno rilanciati a un solo punto da noi.
Inutile guardare la classifica: siamo solo a un sesto del torneo. E sarebbe sbagliato scendere in campo con in testa l’obbligo della vittoria. Eppure la suggestione di Alessandria mi torna utile per dire che il Sudtirol è un po’ come quel Cosenza di un anno fa: le due vittorie sono arrivate contro squadre in grossa difficoltà. Bisoli urlerà tutto il tempo da bordocampo, i suoi giocheranno sulle ali dell’entusiasmo di una neopromossa che ha matato Cesc Fabregas. E a noi, dunque, toccherà essere molto accorti.
Come il ct Pozzecco ha spiegato ai suoi prima del match vinto con la Serbia, difendiamo e poi ci andiamo a divertire in attacco. Non so se accadrà già a Bolzano, ma il Cosenza di Dionigi deve passare quanto prima alla seconda parte di quella frase. A dire che la difesa rossoblù è la cosa che, ad oggi, meglio funziona sono le statistiche: per expected goals against, con 1.64, abbiamo fatto meglio di Bari e Brescia, siamo un filo sotto l’Ascoli e parecchio avanti al Sudtirol (1.91). Ma siamo pure la squadra con il più basso indice di pericolosità offensiva: 0.78, un dato peggiore anche dei nostri prossimi avversari.
I dieci minuti in campo di Calò contro il Bari dimostrano che per vedergli prendere davvero le redini del centrocampo ci vorrà ottobre. E questo è un problema grosso, perché lì in mezzo manca proprio il tessitore, ovvero qualcuno capace di cucire assieme il lavoro di Larrivey con quello della trequarti. L’anno scorso c’era l’imprevedibilità di Caso a seminare scompiglio, ora no. Sta di fatto che El Bati appare sempre troppo solo e, oggi, altro che divertirsi in attacco. Il Cosenza soffre da cani, quando supera la metà campo. Nessuna delle tre occasioni contro il Bari, a parte quella di Merola, è stata in fondo un’azione costruita. La traversa di Brignola è uno spunto individuale e il mancato assist a Florenzi una combo tra un eccellente no look di Brescianini, una intelligente chiusura stretta di Pucino sul sinistro (ovvero l’unico piede) dell’ex Sassuolo e un egoismo che avrei compreso solo all’87esimo sul punteggio di 3-0 per noi.
Detto questo, però, e anche grazie al lavoro di Voca e al rientro sistematico in copertura di Florenzi o Brignola, il Cosenza è una squadra che finora ha rischiato molto solo a Terni e nel secondo tempo a Parma. È bene non smarrire questo valore, per tornare alle parole di Giancarlo Brocci su L’Eroica, perché è sulla difesa che si fonda una salvezza. E tuttavia non ci si può basare solo su quello. Perché nell’ordine difensivo qualche crepa di tanto in tanto si apre (vedi Rigione) e le crepe, se aumentano, diventano patema. Quindi urge trovare soluzioni di gioco in attacco. Forse, e lo dico quasi sotto voce, in questo momento (o, almeno, non dal 1′) non è Larrivey l’attaccante più adatto su cui puntare per aprire spazi alla batteria di trequartisti.
Insomma, a Bolzano il Cosenza deve fare L’Eroica. Nel senso della corsa ciclistica. Che è un’amatoriale, ma è lunga 209 chilometri – ed è una fatica immane. Per questo, lungo il percorso, ci si ferma nei punti di ristoro o semplicemente a guardare il paesaggio. Come sul poggio dove Bertolucci girò con Liv Tyler una delle scene più belle di Io ballo da sola, quella della quercia.
Deve fare L’Eroica conservando la fatica e l’efficacia della difesa, ma cambiando spartito in attacco – checché se ne dica, tre occasioni da gol in casa in 90 minuti sono meno del minimo sindacale. Non deve pensare a Bolzano come a un’ultima spiaggia come, un anno fa, non avremmo dovuto guardare ad Alessandria come a una cartina di tornasole per ambizioni che non potevano appartenerci. E, anche se ormai di quella cavalcata playoff del 2018 in rosa non c’è più nessuno, deve fare L’Eroica ricordando che proprio da una coltellata di Cia nei minuti di recupero nacque forse l’impresa più bella della nostra storia. Le radici di questa serie B. Le nostre strade bianche.