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Il passo è stato piuttosto breve. Dall’auspicio di riprendere Berlino con cui concludevo sette giorni fa Minamò, il Cosenza di Dionigi inizia nel peggiore dei modi possibili la corsa a ostacoli di ottobre. La sconfitta di Reggio Calabria è senz’appello, fatto salvo quel quarto d’ora finale del primo tempo in cui qualche timido affaccio nella metà campo avversaria c’è stato e, poi, il palo di Butic (ma eravamo già sul 3-0 e ai titoli di coda). Nella grande festa dello sport auspicata dal presidente Guarascio, il Cosenza si è purtroppo limitato ad apparecchiare la tavola.
La metto qui, questa sconfitta contro il Lecce corazzata della scorsa stagione, un po’ promemoria e un po’ scaramanzia. Perché purtroppo siamo molto vicini agli errori che portarono, un anno fa, alla crisi di novembre del Cosenza di Zaffaroni. Organici diversi, ma canovacci tattici simili.
Al Granillo, Dionigi temeva (giustamente) l’avversario e ha deciso di infoltire il centrocampo affiancando Vallocchia a Voca e Brescianini. Di fatto, allontanando ancora una volta D’Urso dall’unica punta e consegnando la parte centrale del campo agli amaranto. Le reti avversarie di Rivas e Menez, frutto di giocate individuale, sono nate proprio dall’incapacità di arginare le catene laterali oppure di contenerle con raddoppi in marcatura e difesa bassa schierata, aprendo praterie agli inserimenti a rimorchio. Ci hanno messo del loro, purtroppo, Matosevic (sul primo gol) e Kornvig (sul terzo), ma quel ch’è peggio è che il Cosenza ha sbagliato l’approccio e non ha mai davvero reagito. E questo anche per errori della panchina: sostituire Brignola con Martino dopo il 2-0, attendere il minuto sessantasei per far entrare Calò sono mosse che hanno poco senso, se vuoi davvero provare a invertire l’inerzia della gara.
Faccio presente per inciso che, da queste parti le obiezioni in fondo giocavamo contro la capolista e però abbiamo undici punti non hanno asilo. Allo stesso modo liquido come solenne fesseria, ad oggi, mettere in discussione la panchina di Dionigi. Che la Reggina fosse una squadra di alto profilo lo sapevamo. Che il calcio preveda la presenza sul campo di un’entità chiamata avversari pure. Che i piani gara, anche se ben preparati, possano andare in vacca dopo dieci minuti sta nell’ordine delle cose. Un tecnico però esiste proprio per inventarne altri. Come dicevano gli U2, sleight of hand and twist of fate.
Al momento dobbiamo prendere atto del fatto che gli schemi di Dionigi sembrano non poter prescindere da Brignola (e non è chiaro il motivo, viste le prestazioni). Che il 4-2-3-1 o 4-3-1-2 è ritenuta un’esigenza superiore alle caratteristiche di D’Urso, sacrificato in un ruolo che non è il suo. Che possiamo invece fare a meno di Calò, considerato ancora non pronto. Che invece si può rinunciare a Zilli, scalato molto indietro nelle gerarchie anche come semplice subentrante. Da osservatore esterno mi paiono tutti errori. Senza un playmaker, i trequartisti non ingranano e una punta è troppo poco. Trovare una quadra con D’Urso alle spalle di due punte sembrerebbe almeno a me la soluzione più a portata di mano.
Una settimana fa, alla vigilia del derby, ero fiducioso sul fatto che Dionigi avrebbe cercato modi (anche diversi da quelli appena suggeriti) per orientare la squadra verso una maggiore propensione offensiva. Non si può chiudere una partita con zero tiri in porta. Bene, come già scrissi, la capacità di incassare e restare ordinati in difesa: è un buon viatico per centrare la salvezza. Basta che sia un punto di partenza e non una stazione permanente.
Allora ecco che, come un anno fa, proprio le partite più difficili diventano un banco di prova. Con Zaffaroni nell’autunno 2021 le sconfitte contro Benevento, Lecce e Monza furono la svolta in negativo del torneo. Quella squadra aveva dei problemi che questa non mi pare avere. Purtroppo, aveva anche delle risorse (penso a Caso) che questa forse non ha. Sta di fatto che allora il tentativo di mettere un pullman davanti alla porta e sfangare un pareggio non portò benissimo. Tra Genoa e Frosinone (nel mezzo la Spal passata da Venturato a De Rossi), Dionigi non può commettere lo stesso errore. Se c’è davvero un vantaggio, ad oggi, in quegli undici punti sta proprio nella possibilità di compiere qualche azzardo e cercare nuove strade. Quelle vecchie, si è visto con la Reggina, portano poco lontano. E sconfitta chiama sconfitta.
Perché non c’è peggio che uscire da un campo di calcio con addosso la sensazione di non averci nemmeno provato. Per i tifosi e per la squadra stessa. Il derby di sabato scorso, a livello di prestazione, deve rimanere un episodio isolato. E il calendario di ottobre potrebbe davvero sembrare il momento sbagliato per cambiare qualcosa. Invece, a parere di chi scrive, è proprio l’occasione giusta per allontanare le prime vere difficoltà ed evitare che qualche nuvola basti a fare cchiù scuru i’ menzannotte.