Quando tifi per una squadra da trentacinque anni su quaranta, alla fine ti convinci di averne viste abbastanza da poter ricondurre quel che accade a ciò che hai già visto. Il bello (o il brutto) del Cosenza è che invece ti concede sempre la “meraviglia” della scoperta. Come a Ferrara.

In vita mia non avevo mai visto i Lupi perdere per 5-0 in trasferta. E nel calcio che ho conosciuto io una simile sconfitta, la terza consecutiva, dopo aver totalizzato negli ultimi due mesi 5 punti in otto partite, subendo 15 reti (10 nelle ultime tre) e realizzandone sei (tre in una sola gara, quella contro il Como), portava in poche ore all’esonero. Si potrà obiettare che l’ultima “manita” della nostra storia (5-0 col Foggia di Zeman, nel 1990) non condusse alla rimozione immediata di Di Marzio, ma eravamo alla prima di campionato (e il buon, vecchio Gianni fu comunque sostituito sette giornate più tardi) (e, ripeto, si trattava di Di Marzio).

Una vulgata piuttosto autorevole sostiene che il Cosenza sia collassato nell’ultimo mese. La stessa ricostruzione vede Dionigi braccato dalle critiche dell’opinione pubblica dopo la vittoria col Como, che in effetti aveva lasciato molti confusi e felici, e obbligato a modificare uno spartito tattico che funzionava a meraviglia.

I fatti raccontano una realtà diversa. Dionigi passa alla difesa a tre dopo la sconfitta di Reggio Calabria (dove la squadra fu schierata secondo il consueto 4-2-3-1). La critica più ricorrente era quella sulla sterilità offensiva e portava a chiedere l’utilizzo di due punte, con D’Urso alle spalle: mi pare che Dionigi abbia assecondato questa richiesta una volta sola, contro il Genoa. Mai è stata cercata una soluzione tattica che permettesse di sopperire all’assenza, dal Bari in poi, di Nuciddra Florenzi. Un elemento chiave il cui infortunio, purtroppo, ci sta togliendo quella cifra di imprevedibilità che nelle prime giornate è stata parte essenziale della nostra forza.

Torno un secondo sulla sterilità offensiva. Sono stati spacciati come ottimi risultati due pareggi esterni contro Ternana (in dieci uomini) e Sudtirol, e la qualità del Genoa come attenuante per la sconfitta nonostante l’inferiorità numerica del Grifone. Mi duole raccontarvi come il Perugia fanalino di coda sia andato a vincere a Reggio Calabria per 3-2 e, ridotto in dieci mentre era in vantaggio per 1-0, abbia resistito all’arrembaggio degli amaranto per una buona mezz’ora. Dopo l’addio di Baldini vedevo gli umbri in un tunnel dal quale sarebbe stato difficile uscire. Temo che il ritorno di Castori possa aver invertito quell’inerzia: le scelte di formazione del tecnico marchigiano al Granillo dicono molto in tal senso. E alle nostre spalle la classifica purtroppo si è pericolosamente accorciata.

Quel che voglio dire è che, mentre le nostre dirette concorrenti hanno cercato di invertire la rotta, il Cosenza non è collassato per i cambiamenti imposti dalla piazza (che di fatto, a parte un paio di modifiche minori, non ci sono stati). Il Cosenza è collassato per proprio per il problema opposto: l’ostinazione a non cambiare, mentre tutti gli avversari neutralizzavano di volta in volta i nostri pochi pregi. Un esempio? La prima rete della Spal, per quanto fortunosa, mostra come una difesa schierata con tre centrali e due laterali, più Voca e Brescianini a copertura, riesca a perdersi l’inserimento di Murgia al limite dell’area.

Potrei gettare la croce addosso a Panico, che sul 2-0 si perde Dickmann (un duello che purtroppo è stato il mismatch chiave della sfida), e che come si vede nella foto sotto è costretto a concedere un’ampiezza spropositata ancora al terzino di scuola estense sul cross che porterà al 3-0. In realtà, lungi dall’essere episodi sfortunati, come ha derubricato il tutto Dionigi in conferenza stampa, questi sono errori di reparto. E di impostazione di reparto. Certo, Vaisanen ci mette molto del suo nell’autorete e nel comico 4-0, ma una squadra che si schiera così a inizio ripresa davanti a settecento tifosi in trasferta è tutt’altro che una squadra ammutinata.

Il Cosenza, al contrario, è una squadra che sta seguendo pedissequamente il proprio allenatore. Lo dimostra la frustrazione con cui, negli spogliatoi, Larrivey si è scagliato contro Dionigi a fine gara. È una squadra che si è fidata del suo tecnico, complici i buoni risultati dell’avvio, e lo ha fatto nonostante le critiche che sono state pudicamente mosse da una parte (minoritaria) degli osservatori, mentre un’altra (maggioritaria) li tacciava offensivamente di essere guficorvi tiraturi, nel migliore dei casi come tifosi di bocca troppo buona. Ed è una squadra che evidentemente quella fiducia non ce l’ha più.

Si racconta un vecchio aneddoto della Lazio scudettata, quando contro il Verona all’intervallo Maestrelli si fece trovare all’imbocco del tunnel e rimandò in campo la stessa formazione che aveva terminato il primo tempo in svantaggio. Ovviamente quella Lazio ribaltò il punteggio e vinse. Negli spogliatoi di una squadra come il Cosenza che al Mazza sta perdendo 2-0, clamorosamente sotto pure nel possesso palla, e viene fatta rientrare con gli stessi effettivi, covano pertanto due sentimenti: il mister è pazzo, quelli ci stanno massacrando oppure il mister è un genio, si vede che ha capito che così come siamo la possiamo riacciuffare. Nel primo caso, dopo un 5-0, trova una conferma; nel secondo viene smentito. In entrambi ne esce con la consapevolezza che il timone è nelle mani sbagliate.

Circola anche la tesi che sia inutile cambiare tecnico, perché più di così non si può fare. Pertanto quel che scriverò ora forse non piacerà, ma io continuo a considerare il mercato di Gemmi sopra la sufficienza. Molti ruoli sono stati coperti per tempo. Altri non lo sono stati per troppo ottimismo, come con Matosevic. Certi profili (Sidibe, Nasti, ma pure il nostro Zilli, già da qualcuno derubricato a paracarro dopo la bellezza di 115 minuti in 10 giornate) avrebbero bisogno di un contesto più sereno per emergere. E non vorrei che la presidenza buttasse il bambino e l’acqua sporca. Ovvero che la scelta errata del tecnico (Dionigi) inficiasse l’intera stagione, la prima dopo anni nella quale fare il ritiro ha avuto finalmente un senso (anche se, alla fine, è stato l’allenatore stesso a fare in modo che un senso non ce l’avesse, visto il punto a cui ci troviamo).

Ovviamente ci sono tanti buchi (e mi ero permesso di scriverlo). Che il terzino sinistro ci manchi come il pane è sempre più chiaro (ma, per dire, non si potrebbe azzardare un La Vardera?). Che Matosevic ormai veda nello specchio l’immagine del peggior Saracco (sia detto con affetto, Umberto), pure. Che insomma la rosa sia priva di diversi tasselli è indubitabile. Ce ne sono molti, tuttavia, direi troppi, che da inizio stagione (e sottolineo da inizio stagione, non nell’ultimo mese) vengono schierati fuori ruolo. E questo aspetto, la scelta dell’allenatore, come ricorderete aveva lasciato perplesso all’inizio anche me. Purtroppo i fatti mi stanno dando ragione.

Il 5-0 maturato al Mazza non è stata un’imbarcata occasionale, ma una batosta su tutti i fronti: scene apocalittiche, per evocare gli ormai mitici fatti di Gubbio. Il mercato degli allenatori non offre molto, ma io credo che uno Stellone, forse anche un Aglietti (per restare a tecnici alla nostra portata, perché su piazza ci sarebbe anche un top come Semplici), riuscirebbero a cavare da questa rosa più di quanto sia stato fatto finora (e non parlo dei risultati, perché la nostra classifica oggi racconta meno di mezza verità). Ostinarsi a confermare Dionigi dopo una partita simile è possibile solo se c’è la certezza di un rimbalzo, di una ripartenza immediata. E solo un profeta della panchina sarebbe in grado di un’operazione simile. Molti, fino a qualche settimana fa, erano pronti a giurare che Dionigi lo fosse. Lo pensano ancora?