C’è stato un tempo in cui un gol di Marulla bastava a mitigare delusioni e amarezze della vita. Andavano così le cose a Cosenza, anche quando i gol, il nostro, li faceva già per un’altra tifoseria. I Lupi perdono, ma il Genoa è in vantaggio grazie a Lui? Boato del San Vito, incomprensibile ma sincero. Un po’ come il vero amore. I fatti del 27 ottobre del 1985 valgono da conferma.  

Del resto, di amore, Luigi Marulla detto Gigi, ne ha dato e ricevuto a iosa nei suoi tre anni di precedente militanza in riva al Crati. Nella stagione calcistica appena conclusa, quella del 1984/85, il suo nome finisce in cima alla classifica dei cannonieri insieme a quello di Pino Lorenzo del Catanzaro. Diciotto gol a testa, ma a differenza del “cugino” senza l’aiutino di quattro o cinque rigori. Tutti gol in movimento per l’attaccante rossoblù – e che gol! –  con l’unica onta di un penalty sbagliato proprio in quel di Catanzaro. Ecco perché al termine di quel campionato, fa scalpore la cifra tutto sommato misera – un miliardo e ottocento milioni di lire – impiegata dal Genoa per assicurarsi le sue prestazioni. Anche perché per lo stesso Lorenzo, approdato pure lui Liguria, ma su sponda blucerchiata, il Catanzaro ne incassa ben quattro di miliardi. Più del doppio.

Numeri che, in quei giorni, turbano ulteriormente i sogni dei cosentini, già alle prese con il dramma sportivo di non vedere più il loro beniamino allietare le loro domeniche. «Ok, vestirà comunque in rossoblù» è il pensiero consolatorio che circola di bocca in bocca. Ma non ci crede nessuno. L’unica certezza è che l’estate del 1985, più assolata che mai, sarebbe stata anche quella del distacco. Il venditore ambulante di frutta in via Panebianco trova anche un modo tutto suo per sublimarlo: «Miluni ara Gigi Marulla» recita la réclame vergata a mano su un cartone assiso davanti alla sua bancarella. L’ultimo dolce prima dell’amaro.

La squadra si presenta ai nastri di partenza con le solite ambizioni: conquistare la serie B, che all’epoca manca da più di vent’anni. In panchina c’è sempre Vincenzo Montefusco (poi sostituito da Oscar Montez, il vecchio El grinta) e anche l’ossatura della squadra è rimasta quella, con l’aggiunta di un libero d’esperienza come Stefano Calcagni e di un gruppetto di giovani – Claudio Lombardo, Donato Bergamini, Bruno Russo – che alla fine costituiranno l’unica novità positiva di un’annata balorda. I pezzi forti del mercato sono gli acquisti del portiere Domenico Delli Pizzi e dell’ala destra Massimo Rovellini, che qualche anno prima hanno assaggiato anche la Serie A rispettivamente con Cesena e Cagliari. Manca, però, un bomber in grado di sostituire l’Idolo. I nomi di Alivernini, Romiti, Doto e Cinquetti sono all’epoca quelli più a la page per una squadra di serie C con ambizioni da prima della classe. Durante il mercato estivo, ognuno di loro è associato a un futuro in rossoblù, ma nessuna di queste trattative riuscirà ad avere successo.  Dalle categorie inferiori arriva Franco Brandolini che, però, non vedrà mai il campo. A essere promosso titolare allora è Fabrizio Del Rosso, già riserva l’anno precedente. Non sfigurerà, ma le attese erano ben altre. Alla vigilia, i tifosi sono scontenti, ma sanno perfettamente a quale santo votarsi: nel romitorio del santuario di Paola, fra immaginette sacre, attrezzi ortopedici e ritratti di aspiranti miracolati, spunta una foto della rosa del Cosenza, stagione 85/86, accompagnata da un messaggio al Taumaturgo: su tutti loro, copiose benedizioni.

Due vittorie risicate e tre pareggi. L’inizio è un po’ così, ma nulla lascia presagire la tempesta che sta per abbattersi il 27 ottobre, alla sesta di campionato. Quel giorno al San Vito scende in campo il Siena allenato da Ferruccio Mazzola, “cadetto” ribelle della dinastia. Il Cosenza si presenta al fischio d’inizio con una divisa insolita: maglia azzurra con sponsor Parise e calzoncini rossi. Un obbrobrio, che non a caso sparirà poi dalla circolazione. Alla fine del primo tempo il punteggio è impietoso: 4 a 1 per i toscani. Colpa del loro attaccante – un certo Fermanelli – che veste i panni della furia e segna una tripletta, ma anche della giornata no di Delli Pizzi, che da allora non riacquisterà più la serenità perduta quel giorno, lasciando di lì a poco il posto all’esordiente Luigi Simoni. All’intervallo le squadre guadagnano gli spogliatoi sotto una selva di fischi, diversi tifosi abbandonano lo stadio, ma i soliti sette-ottomila del San Vito resistono. Sperano in un miracolo che si materializzerà al quinto minuto della ripresa, ma non come se lo aspettano loro.

Il Genoa milita in serie B, ma punta alla promozione in massima serie. Anche il suo inizio è stato un po’ altalenante, ma dopo le prime incertezze ha preso quota quel nuovo centravanti fresco di immissione in ruolo, con due gol in altrettante partite che lasciano ben sperare. Mentre lui è in campo a Marassi, con il punteggio bloccato sullo zero a zero, mille chilometri più a sud, i suoi vecchi tifosi sono in preda allo sconforto poiché costretti ad assistere a una partita ormai compromessa. Mancano ancora quaranta minuti prima della fine, che senza la speranza possono diventare un’eternità. Il secondo tempo di Cosenza-Siena si disputa così: in un silenzio irreale. Che sta per diventare il silenzio perfetto.

Sono gli anni d’oro di “Tutto il calcio minuto per minuto” e le orecchie sono tutte incollate alle radioline: anche negli stadi ce n’è una che gracchia ogni due o tre spettatori. Ezio Luzi interrompe dallo studio per il consueto aggiornamento sui risultati di B e dà atto del vantaggio del Genoa sul Cesena. Mentre si accinge a comunicare anche il nome del marcatore, l’aria sul San Vito si fa più rarefatta. È un solo istante in cui tutti, all’unisono, sembrano trattenere il fiato in attesa di un annuncio. «Ha segnato… Marulla» declama il radiocronista e l’urlo collettivo dei presenti scuote le fondamenta di tribune, curva (all’epoca ce n’era soltanto una) e di un po’ tutta via degli Stadi. Un ruggito prolungato, quasi rabbioso. Tanti altri partiranno ancora da quei gradoni negli anni a venire. Ancora più intensi, memorabili e celebrati. A tutt’oggi, però, quello eruttato dall’emiciclo del San Vito resta forse il più disperato di sempre. E anche il più tenero. Per Marulla, dai Senzamarulla.