Una lezione di ‘ndrangheta ai cosentini: «Non si chiedono soldi ai carcerati»
Il pentito Ivan Barone rievoca un viaggio compiuto dal suo gruppo a Rosarno per acquistare una mitraglietta e una pistola da esponenti del clan Pesce
Una gita a Rosarno. Organizzata in un giorno d’estate del 2017 insieme a tre amici. Non una scampagnata innocente, ma un viaggio finalizzato all’acquisto di armi: una mitraglietta “Skorpion” e una pistola calibro 9×21. Fra i racconti di Ivan Barone c’è anche quella relativa alla volta in cui il futuro pentito cosentino conosce la ‘ndrangheta che conta.
In particolare, due giovani esponenti del clan Pesce che, a suo dire, avevano appuntamento con lui per concludere quella compravendita scabrosa. «Avevano i rispettivi padri in carcere» dice Barone dei suoi interlocutori, incontrati nel retrobottega di un bar prescelto come location per la trattativa. «Le pagammo in tutto 1800 euro» racconta il pentito, spiegando quel giorno i rosarnesi intascano il denaro e 48 ore dopo, si presentano all’ultimo lotto di via Popilia, a bordo di una vecchia Lancia Thema, per consegnare le armi ai cosentini.
In precedenza, riceve da loro un assaggio di vera e propria mentalità criminale. I due giovani, infatti, gli chiedono informazioni su un cosentino che deve loro dei soldi a causa del mancato pagamento di una partita di cocaina. Barone e gli altri li informano del fatto l’uomo che si è indebitato con loro si trova attualmente in carcere e la risposta che ottengono è un frammento di oscuro codice d’onore.
«Ci dissero che stando così le cose non avrebbero preteso il pagamento in quanto i loro padri avevano insegnato loro che quando una persona è in carcere, per rispetto di questa condizione non si devono pretendere soldi. Tutto andava rimandato a quando i debitori riacquistavano la libertà».