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Il caso di Ariosto Artese: dalla Cassazione alle dichiarazioni di Porcaro

L'imprenditore cosentino "concorrente esterno" dell'associazione mafiosa? Per gli ermellini le motivazioni non sono idonee a sostenere la sussistenza del reato contestato dalla Dda di Catanzaro

Il caso di Ariosto Artese: dalla Cassazione alle dichiarazioni di Porcaro

Uno dei 245 imputati di “Reset” è l’imprenditore cosentino Ariosto Artese finito in carcere il 1 settembre 2022 con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ma al tempo stesso vittima di una presunta estorsione chiesta all’attuale imputato dal clan degli “zingari” di Cosenza. Parliamo dell’attivià imprenditoriale di un call center situato nell’area urbana.

Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione ha bacchettato i giudici del Riesame di Catanzaro, ricordando loro in “diritto” quali sono i principi giurisprudenziali da tenere a mente quando ci si interroga sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla condotta del “concorrente esterno” dell’associazione mafiosa.

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La vicenda giudiziaria che vede coinvolto Ariosto Artese non è e non sarà né la prima né l’ultima dove una procura contesta un reato che difficilmente si associa alle azioni delittuose “scoperte” durante le indagini. Il “concorrente esterno” non deve ottenere un profitto personale bensì mettere al servizio dell’associazione le sue “opere” affinché si concretizzi un qualcosa di cui ne possano beneficiare tutti i componenti. E la Cassazione, citando la sentenza Mannino (e non solo), tira un po’ le orecchie sia ai giudicanti che agli inquirenti.

Il caso di Ariosto Artese, cosa scrive la Cassazione

La sesta sezione penale ricorda che «non è riconducibile, all’interno dello spettro delle condotte punibili di concorso eventuale, la sola “contiguità compiacente” o “vicinanza” o “disponibilità” nei riguardi del sodalizio o di suoi esponenti, anche di spicco, quando a siffatti atteggiamenti non si accompagnino positive attività che abbiano fornito uno o più contributi suscettibili di produrre un oggettivo apporto di rafforzamento o di consolidamento sull’associazione o anche su un suo particolare settore».

«Occorre, in altre parole, il compimento di specifici interventi indirizzati a questo fine. Ciò che conta, infatti, non è la mera disponibilità dell’esterno a conferire il contributo richiestogli dall’associazione, bensì l’effettività di tale contributo, e cioè che a seguito di un impulso proveniente dall’ente criminale il soggetto si è di fatto attivato nel senso indicatogli. Ne deriva che non ha peso decisivo la circostanza che sia stata posta in essere dal concorrente esterno un’attività continuativa o comunque ripetuta, ovvero un intervento occasionale e non istituzionalizzato. Si tratti di attività: continuativa o ripetuta, si tratti invece di una singola prestazione, dovrà valutarsi esclusivamente se la pluralità o l’unica attività posta in essere, per il grado di concretezza e specificità che la distingue e per la rilevanza causale che esprime, possa ritenersi idonea a conseguire il risultato sopra menzionato».

Le Sezioni unite Mannino

Secondo la Cassazione «questa impostazione esclude pertanto che sia dato rilievo alla mera manifestazione di “disponibilità” del soggetto agente ad assecondare le richieste del clan, là dove la stessa descriva una realtà di tipo psicologico priva di quel connotato di materialità – in rapporto all’effettivo perseguimento degli scopi – che le Sezioni Unite di questa Corte hanno richiesto in aderenza ai principi generali che regolamentano normativamente il concorso di persone nel reato».

«Come hanno avvertito le Sezioni unite Mannino, ferma restando l’astratta configurabilità dell’autonoma categoria del concorso eventuale “morale” in associazione mafiosa, non sembra consentito accedere ad un’impostazione di tipo meramente “soggettivistico” che autorizzi il surrettizio e indiretto impiego della causalità psichica c.d. da “rafforzamento” dell’organizzazione criminale, per dissimulare in realtà l’assenza di prova dell’effettiva incidenza causale del contributo materiale per la realizzazione del reato».

Le altre critiche della Cassazione sul caso Ariosto

Scrive ancora la sesta sezione penale: «La motivazione dell’ordinanza impugnata si è limitata da un lato a riportare, quale premessa “in fatto“, un testo virgolettato (evidentemente la memoria illustrativa depositata dal P.M.), contenente una sintesi ragionata degli elementi investigativi a carico del ricorrente, e dall’altro a concludere a pag. 11 che, sulla base di tali elementi, Artese era da ritenersi quale soggetto a disposizione delle cosche mafiose di cui al capo 1) e che operava per le stesse non solo come imprenditore che avvantaggiava soggetti su cui la cosca mafiosa aveva interesse (come per la vicenda del parcheggio), ma anche in qualità di persona che coadiuvava i gruppi mafiosi per commettere reati di usura».

«Il Tribunale rilevava a tal fine che i dialoghi erano molto chiari e inequivocabili e che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia tra loro convergenti venivano a confermare quei dialoghi; che Artese grazie al suo apporto aveva ottenuto ampia protezione dalla cosca; che vi era la dimostrazione di uno scambio vicendevole di vantaggi che aveva determinato “un rafforzamento del gruppo mafioso” in termini in particolare di riconoscimento della sua forza sul territorio».

I dialoghi tra Porcaro e Drago

«Il Tribunale non ha in definitiva risposto alle questioni sollevate dalla difesa e ha conferito agli elementi riportati in virgolettato da pag. 1 a pag. 11, una sorta di idoneità auto-evidente a rappresentare, in termini di gravità indiziaria, la concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo. In primo luogo, quanto al contributo causalmente efficiente realizzato dal ricorrente, il Tribunale, nella parte in virgolettato, si è limitato soltanto ad illustrare la “messa a disposizione” del predetto. Erano richiamate da un lato la conversazione in cui Porcaro aveva riferito al Drago della stranezza del comportamento dell’Artese, che, pur essendo un “amico” vicino a loro e che si era “messo a disposizione“, non si era attivato con solerzia una volta ricevuta la richiesta estorsiva; e dall’altro le vicende “sintomatiche” di tale disponibilità del ricorrente».

La vicenda del parcheggio

«In particolare, nella vicenda del parcheggio, secondo quanto si legge nell’ordinanza, Porcaro aveva criticato con Drago la gestione di un contratto di locazione stipulato da Artese con soggetto non meglio identificato (era stato preteso il pagamento del canone ancor prima dell’avvio della gestione dell’attività), chiedendo a Drago di parlare con quest’ultimo per far concedere al locatario ancora un mese di tempo o comunque per far abbassare il canone. La conclusione che trae il Tribunale da questi episodi sulla continuativa “messa a disposizione” del ricorrente in favore del clan è viziata, in quanto non sostenuta da una adeguata motivazione» sottolineano gli ermellini.

«Nella vicenda del parcheggio, la difesa aveva evidenziato come dalla captazione emergesse soltanto la “richiesta” rivolta da Porcaro a Drago di parlare con Artese, senza che fosse dimostrato alcun seguito; in quella dell’usura la difesa aveva contestato la ipotetica ricostruzione operata dall’accusa dell’oggetto dei dialoghi captati tra Drago e l’Artese (come dimostrava il ricorso ai termini “presumibilmente” e “forse” utilizzati nella richiesta cautelare, quanto ai riferimenti ai soggetti coinvolti – Porcaro e Saullo)» evidenziano i giudici di legittimità.

Il concorso esterno in associazione mafiosa

«Il tema che non risulta tuttavia per nulla approfondito dal Tribunale resta quello centrale dell’efficienza causale del contributo del ricorrente, anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo – che, come si è rammentato, deve investire sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice sia il contributo causale recato dalla propria condotta alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione mafiosa.

Le dichiarazioni di Porcaro

Il pentito Roberto Porcaro ha parlato di Ariosto Artese in più interrogatori. In uno degli ultimi, l’ex “reggente” del clan “Lanzino” di Cosenza dichiara che «con riferimento al capo 5 e, in particolare, all’asserita vicinanza di Ariosto Artese alla nostra associazione criminale voglio riagganciarmi a quanto da me già riferito in occasione del precedente interrogatorio», richiamando quelli del 30 e 31 maggio 2023, «specificando ulteriormente che sia dal punto di vista delle conoscenzew dirette che indirette che sono nella mia disponibilità, posso affermare che Ariosto Artese non ha pagato l’estorsione che gli era stata chiesta da Gennaro Presta in quanto soggetto vicino a Mario Piromallo» afferma Porcaro.

«Inoltre – aggiunge il collaboratore – con riferimento alla vicenda del parcheggio di cui ho già riferito era direttamente interessato in qualità di gestore Alessandro Morrone e posso precisare che Ariosto Artese si mise a disposizione e si prodigò per far incontrare Morrone» con un imprenditore di Rende «al fine di far ottenere al primo la gestione del parcheggio. Devo precisare inoltre che grazie all’intervento dell’Ariosto la concessione del parcheggio fu ottenuta da Morrone anche se dopo qualche mese gli affari non decollavano e Morrone lasciava l’attività».

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