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Ha salvato tre uomini in mare, rimasti aggrappati per ore a un sedile di una piccola imbarcazione affondata, ma non si sente affatto un eroe, anzi, quegli elogi che vanno avanti da tre giorni, dentro e fuori dal web, piuttosto lo imbarazzano. Giuseppe Losardo, di Cetraro, professione pescatore, racconta la straordinaria vicenda che lo vede protagonista con estrema naturalezza: «Ho fatto solo quello che dovevo fare, perché era giusto. Erano spariti in mare tre uomini, mica palloncini volanti». Tutto è cominciato quando, nel cuore della notte, è arrivato al porto e ha trovato un parente dei tre dispersi disperato e in cerca di notizie. Dapprima l’ha rassicurato, poi, senza nemmeno pensarci, è salito a bordo del suo motoscafo insieme al collega e amico Franco Zottoli, pardon, «più di un amico, è uno di famiglia», e si è messo alla ricerca delle tre persone. Le ha trovate al largo della costa di Sangineto, le ha tratte in salvo, le ha rifocillate e poi le ha riportate a casa, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Cosa è accaduto
È la notte di tre giorni fa. Giuseppe è a casa, non riesce a dormire. Considerato che il giorno prima c’era stato maltempo, si veste e si reca al porto di Cetraro per assicurarsi che sia tutto a posto e che le barche non abbiano riportato danni. «Non ci sono andato per un motivo particolare – dice -, per noi pescatori il porto è una seconda casa». All’ingresso scorge un uomo, che si dispera. È il parente di uno dei tre uomini che in quel momento risultano dispersi. Sono usciti per un pomeriggio in mare su una piccola imbarcazione e non danno notizie di sé dalle 16 del giorno prima, i loro cellulari risultano spenti. Giuseppe non lo dice, per evitare ulteriori preoccupazioni, ma quello è un brutto segnale. «Anche se la corrente ti porta al largo – spiega – puoi sempre effettuare la chiamata di emergenza. Se i cellulari non funzionano, è probabile che siano caduti in acqua». In effetti, la Guardia Costiera, che nel pomeriggio si è spinta al largo per molte miglia, non ha trovato traccia né dei tre uomini né della loro barca. Ma Giuseppe non demorde. Alle prime luci dell’alba, si fionda sul suo motoscafo, accompagnato dall’amico, e parta alla ricerca dei tre, cercando di seguire l’istinto e la corrente del mare. Quindi si dirige verso nord.

Il ritrovamento
Giuseppe e Franco, una volta giunti all’altezza della costa di Sangineto, scorgono quasi subito i pezzi della barca affondata e capiscono che i malcapitati devono essere nei paraggi. Li ritrovano a pochi metri, in balia delle onde e sotto shock, aggrappati a un sedile che, con tutta probabilità, li ha tenuti in vita. «Quando li abbiamo trovati non ci hanno detto niente – afferma Giuseppe -, sono scoppiati a piangere. Erano così stanchi e provati che non riuscivano nemmeno a bere e li abbiamo aiutati noi. Poi abbiamo tolto le magliette che avevamo addosso e le abbiamo date a loro, in più li abbiamo coperti con una tenda per il sole». Prima di rimettere in moto e ripartire, i due pescatori hanno avvisato la Guardia Costiera, indicando il punto preciso del ritrovamento.
L’inaspettata popolarità
Giuseppe riporta a casa i tre uomini sani e salvi, saluta e se ne va, come se non fosse successo niente di straordinario. Ma la notizia ci mette una manciata di ore a fare il giro del paese e il giovane pescatore, in men che non si dica, deve fare i conti con una inaspettata popolarità, che lui fatica ancora ad accettare: «No, non mi sento un eroe, perché dovrei sentirmi un eroe?». Eppure, senza il suo intervento, i tre uomini caduti in mare avrebbero avuto ancora pochi minuti di vita a causa dell’ipotermia. «Tu sei il mio dio», gli ha detto uno di loro. Ma Giuseppe gli ha risposto che di dio ce n’è uno soltanto. Lui è solo un umile pescatore che non ha esitato un secondo a salvare la vita di tre sconosciuti.

