Mentre comincio a scrivere, mancano quattro giorni a una partita che non sono mai riuscito a vedere. E io mi sento un po’ Alex Drastico.

Finché sono stato bambino, non è mai stata aperta alcuna trattativa con mio padre circa la possibilità di andare a vedere il derby a Catanzaro. Quando sono stato grande abbastanza da decidere in autonomia, quella possibilità non c’era più oppure ormai vivevo altrove. Per la mia generazione, il derby è stato dunque quello con la Reggina.

Eppure, il derby vero restava quello col Catanzaro. Al quale, al momento in cui sono tornato a scrivere, mancano tre giorni, sei ore e cinquantasette minuti. In curva ascoltavamo rapiti i racconti di chi li aveva vissuti, come si assorbono le parole dei reduci. Gli esodi, le lettere minatorie, le (ahimè) immancabili sconfitte. E sapevamo che, quando si fosse riproposta la sfida, essere ritenuto all’altezza di una trasferta del genere non sarebbe stato scontato.

Il derby col Catanzaro, dunque, torna a riproporsi in serie B a trentatré anni di distanza dall’ultima volta (e all’incirca tra tre giorni, sei ore e ventuno minuti, al momento in cui sto scrivendo). Taccio, per carità, sugli appena 750 biglietti e su una gestione dell’ordine pubblico che, paradossalmente, sta rischiando di esacerbare gli animi anziché stemperare l’attesa. E io, senza tessera e dunque senza biglietto, sento come se mi avessero rubato qualcosa. Molto peggio di un motorino.

Se non ci fosse stata l’ennesima sosta di campionato, credo che il Cosenza sarebbe stato favorito per questa partita alla quale, nel momento in cui ho ripreso a scrivere, mancano due giorni e dodici minuti netti. Da un lato per i tre tonfi consecutivi da cui proviene il Catanzaro. Dall’altro perché la vittoria dei nostri sulla Reggiana ha convertito in positivo un momento non felicissimo. La debacle con la Sampdoria e i pareggi con Spezia e (soprattutto) Feralpisalò avevano incrinato la fiducia in una squadra che, tra Sudtirol e Lecco, era riuscita invece a inanellare dieci punti. Senza il 2-0 contro i granata di Nesta, è possibile che staremmo parlando addirittura di crisi.

Dopo la sosta di ottobre, quando cioè mancavano ancora quarantatré giorni al derby, Caserta ha provato più volte ad aumentare la trazione offensiva della formazione iniziale. Ha rinunciato a Voca, o lo ha riportato in mediana, per liberare un posto nella batteria dei trequartisti. Ma, ogni volta che l’ha fatto, ha finito per minare l’equilibrio dell’undici in campo. E si contano infatti sulle dita di una mano le occasioni in cui, senza il kosovaro, il Cosenza ha portato a casa il bottino pieno.

In questo momento (e sottolineo questo), un calciatore come Voca sulla trequarti è imprescindibile. Lo sono i suoi inserimenti e il recupero palla, lo è la sua capacità di lettura e interdizione alta per permettere alle catene laterali di girare a dovere. Lo è, a cascata, il suo filtro aggiunto per la stabilità difensiva.

Dicevo che, senza quest’ultima sosta, saremmo stati favoriti. E, dunque, non lo siamo. Anche se Ghion e Donnarumma restassero indisponibili tra i giallorossi, è chiaro che per la squadra di Vivarini sarà una partita campale. Il calendario di dicembre non sarà tenero per loro e il derby diventa l’occasione perfetta per rilanciarsi in classifica. Da parte nostra, le due settimane di pausa potrebbero aver interrotto quei segnali di ripresa intravisti con la Reggiana. È un derby alla pari, insomma, e tendo a immaginarmelo molto tattico e fisico. Una partita nella quale farei fatica a rinunciare a calciatori come Marras e Canotto, dal primo minuto, in attesa di invertire la rotta del match con Tutino e Florenzi. E dove l’avversario va trattato più o meno come Alex Drastico faceva col povero Mauro seduto in platea.

Voglio anche sgomberare il campo da un possibile equivoco: per me questa squadra non è stata in crisi e Caserta è il cuore del progetto. La difficoltà maggiore che il mister sta affrontando credo sia legata all’abbondanza nel reparto offensivo. L’arrivo di Forte ha ridisegnato la gerarchia attorno alla prima punta, proprio mentre l’intesa tra Mazzocchi e Tutino stava iniziando a dare i propri frutti. E ha ridefinito anche l’atteggiamento degli avversari, che ora ti affrontano per quello che sei (una squadra da zona playoff), un punto di riferimento preciso in attacco ce l’hanno e fanno di tutto per togliertelo – anche da qui, la capacità di Voca di intercettare le seconde palle è fondamentale.

Mazzocchi e Tutino si cercavano molto sullo stretto, Forte viene imbeccato in profondità o dalle corsie laterali. Cambia tutto, insomma. E può cambiare, anche, nel corso della stessa gara: un canovaccio sul quale è necessario migliorare. Qualcosa del genere si è visto solo con gli ingressi di Canotto a Palermo (quando cioè mancavano addirittura sessantacinque giorni al derby) e Florenzi contro la Reggiana. Troppo poco spesso le sostituzioni hanno invertito la rotta della partita.

Insomma, finora il Cosenza certi margini di miglioramento ancora non se li è presi. E siccome il campionato è un treno in corsa, questa crescita avverrà a strattoni. Quello da qui al boxing day può essere uno strattone importante. Ci toccheranno la Ternana fanalino di coda, Cittadella e Bari che gravitano nei nostri paraggi, la corazzata Parma e un Como tutto da decifrare dopo l’incredibile esonero di Longo.

In testa a tutto, però, c’è quella partita. Il cui esito in un caso può spingerci a dare uno strattone decisivo alla nostra crescita, nell’altro ad arrestarla di nuovo e dover ripartire da capo. Mi rendo conto di contribuire a caricarla più di quanto lo sia già, ma poche storie: è la partita. Quella che si aspetta come, da bambini, s’attende il Natale. Quella che in serie B manca da trentatré anni, che io non sono ancora mai riuscito a vedere e al cui fischio d’inizio, nel momento in cui consegno con serenità zen questo pezzo, mancano esattamente ventinove ore, trentasette minuti e otto secondi.