Lunga intervista dell’allenatore del Cosenza a La Gazzetta dello Sport: «Nel mio cuore resta lo scudetto con la Primavera dell’Empoli: la vittoria di un decennio»
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Mister Antonio Buscè, allenatore del Cosenza, ha rilasciato una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport nella quale ha parlato del momento della sua squadra, ma anche del suo passato ad Empoli, dei suoi inizi e dei suoi modelli.
Le parole di Buscè
«Lavorando sul lato umano si costruiscono i grattacieli di trenta piani, quelli che non vanno giù mai. Bisognava partire dalle fondamenta, mettersi al di sotto dei giocatori per lavorare prima di tutto sul lato umano. Le scorie della scorsa stagione erano pesanti, l’ambiente era depresso. Mi godo il collettivo e dico sempre che i primi attaccanti sono i difensori: amo quando non si scarica palla banalmente, quando si cerca una verticale anche a costo di rischiare. Nel collettivo il singolo si esalta. Ma rimaniamo concentrati sul centimetro. Ci sono squadre più attrezzate di noi. Quali? Salernitana e Catania, chiaramente. Hanno due giocatori per ruolo, sono costruite per vincere. I siciliani, in particolare, potrebbero arrivare ad aprile con diversi punti di vantaggio sulla seconda per poi gestire. Peccato per il big match con la Salernitana, invece: abbiamo perso 2-1 anche a causa di un enorme errore arbitrale. Può capitare. Il 4-1 col Catania ce lo godiamo perché abbiamo tirato fuori una grande prestazione. In quel momento – spiega Buscè – inizia ad avere forza tutto ciò che hai detto ai tuoi ragazzi nelle settimane precedenti. Ma c’è da continuare a lavorare: è bene che i ragazzi non trascurino mai l’idea di arrivare il più alto possibile tutti insieme, senza snaturarsi. Chi è rimasto sta dando tutto. Nessuno va più in campo con la testa sporca».
Gli anni ed i successi con le giovanili dell’Empoli
«La vittoria di quello scudetto nel 2021 la porto ancora nel cuore. Ho preso in mano quel gruppo quando erano bambini, ci siamo ritrovati a costruire un miracolo diversi anni dopo. La nostra impresa l'ha descritto... Gasperini. In conferenza, dopo la vittoria dell'Europa League con l'Atalanta, ha detto che quella è stata la vittoria di un lavoro durato un decennio. Per noi vale lo stesso Un flash di quello scudetto? Una perla di Kleis Bozhanaj, oggi alla Carrarese. Era un ragazzo straordinario, ci ha risolto più di una partita delicata, ma bisognava integrarlo in modo tranquillo. Evitargli di andare in campo con la testa sporca, praticamente. Ecco, fu lui a lasciarmi di stucco. Eravamo in spogliatoio a tre giorni dall'ultima partita di regular season, ci aspettavamo la Spal che era sopra di noi in classifica: con un ko o un pari eravamo fuori dai playoff. Io entro e vedo una squadra stanca, provata per la lunga rincorsa prima per la salvezza e poi per la post-season. Ai ragazzi prometto di lasciarli tranquilli dopo la partita con la Spal, di premiare così il loro sforzo per aver ottenuto comunque una salvezza che non era scontata, dal momento che a gennaio eravamo in zona retrocessione. Bozhanaj, il più silenzioso di tutti, si alza e mi urla contro: "Mister, ma che c***o dici? Noi con la Spal vinciamo, andiamo ai playoff e poi ci prendiamo lo scudetto". Cala il silenzio, io guardo lui e la squadra, poi dico: "Perfetto, buon lavoro a tutti. Vi aspetto in campo fra cinque minuti". Se il più silenzioso del gruppo tira fuori simili motivazioni, vuol dire che l'allenatore ha fatto il suo. Se sento ancora i vari Baldanzi, Fazzini, Asllani, Ricci e Viti? Certamente. Ho i brividi si penso che con loro siamo partiti dai Giovanissimi Regionali e siamo arrivati a giocare in Youth League. Li ho presi quando avevano undici anni».
Inizi e riferimenti
«Io sono prima di tutto un grande innamorato del calcio. Lo sa chi è un grande mister? Delio Rossi, oggi a Foggia: era in ritiro nel nostro stesso hotel a Cerignola, la scorsa settimana, e io ci tenevo troppo a salutarlo e parlare con lui di calcio. È andata a finire che siamo stati nella hall due ore: su più di un argomento gli luccicavano gli occhi. Io gli chiedevo: "Mister, ma non vorresti mollare e andare in pensione?". E lui mi ha detto che altrimenti gli mancherebbero gli allenamenti, la gestione dei ragazzi, l’idea di far crescere il giovane di turno. Sono rimasto incantato. Gavetta? Ognuno ha il suo cammino scritto. Quando ho smesso, a 37 anni, il responsabile Massimiliano Cappellini mi ha chiamato dicendomi che potevo iniziare ad allenare i bambini dell’Empoli: pensavo fosse un modo di dire per riferirsi all’Under 17 o alla Primavera, e invece erano davvero i bambini. Ricci, a 11 anni, era già un predestinato: bastava trovargli la giusta collocazione e non mettergli ansia. Ha fatto il suo percorso, come tutti. Come me: non cambierei niente. Se poi qualcuno riesce a saltare la gavetta e arrivare prima in alto, cosa devo dirgli? Beato lui…. Modelli? Ho avuto tanti maestri: a Empoli c’erano fuoriclasse come Silvio Baldini, Somma, Cagni. Gente d’esperienza, uomini veri. Ma porto nel cuore il primo vero mister, conosciuto a Lumezzane: Giancarlo D’Astoli. Mi diceva che mi mancava sempre qualcosa, io potevo solo mettermi a lavorare a testa bassa. Poi ad aprile mi prese da parte: "Sei diventato un giocatore, fra quattro mesi sarai in A". Lì lo presi per matto: a 25 anni giocavo in C1… Ma quell’estate – conclude Buscè – mi chiamò l’Empoli e mi portò in massima serie per davvero. Ah, lo sa che Giancarlo D’Astoli viene da Cosenza?».