Il 2-2 del ’’Viviani’’ lascia al Cosenza la sensazione di aver sprecato ancora una volta un’occasione importante. Due vantaggi, due rimonte subite, e la consapevolezza che per restare stabilmente nelle zone alte della classifica serve un passo in più. Non tanto sul piano tecnico, dove la squadra ha mostrato trame e identità, quanto su quello mentale.

Antonio Buscè, a fine gara, lo ha detto chiaramente: “Non abbiamo la mentalità da Serie C”. Un messaggio diretto, che va oltre l’amarezza del momento. Perché la differenza tra chi lotta per il vertice e chi si accontenta di navigare a metà classifica, spesso, non è nei valori individuali ma nella tenuta psicologica, nella capacità di gestire vantaggi, pressioni e momenti di difficoltà. Il Cosenza di oggi è una squadra che sa costruire, che arriva con facilità negli ultimi metri, ma che fatica a mantenere concentrazione e cattiveria fino al novantesimo. Gli errori nei finali di gara o le disattenzioni difensive non sono più episodi isolati, ma sintomi di una fragilità caratteriale che finisce per pesare sulla classifica: il Sorrento dopo l’Atalanta U23 conferma questo.

Per restare in alto servirà una crescita collettiva su più fronti. A partire dalla gestione dei momenti in cui la partita cambia ritmo: lì il Cosenza tende a sfilacciarsi, a perdere compattezza, lasciando agli avversari la possibilità di rientrare. Serve maggiore leadership in campo, più comunicazione tra i reparti e, soprattutto, quella fame che spinge a difendere il risultato con determinazione. Buscè dovrà lavorare su questo, continuando a costruire un gruppo che non si accontenti di giocare bene a tratti, ma che impari a vincere le partite sporche. È un percorso mentale, prima ancora che tattico. Ma è il passaggio obbligato per trasformare un Cosenza piacevole in una squadra realmente competitiva. Il materiale c’è, le basi pure. Ora serve quel salto di consapevolezza che distingue chi sogna di stare in alto da chi ci resta davvero.