Avrebbe dovuto chiamarsi “Sistema”, ma se contro l’anagrafe dei blitz non fosse intervenuta la riforma Cartabia, il nome più azzeccato per l’operazione che lo scorso primo settembre ha acceso i riflettori sui nuovi clan di ‘ndrangheta cosentina sarebbe stato “Decoder”.

La Cimice delle cimici

È in quell’utensile piazzato nel salone di casa di Francesco Patitucci, infatti, che la polizia è riuscita la piazzare la Cimice delle cimici, forse la microspia più decisiva di tutte le investigazioni effettuate a Cosenza e dintorni, quella che ha consentito di arrivare al cuore della confederazione criminale: summit di ‘ndrangheta, intercettazioni dal contenuto nitido, incontri ripetuti fra il boss e i suoi uomini di fiducia, raramente gli inquirenti hanno avuto a disposizione un materiale probatorio così rilevante.

Le accuse reggono

È anche questo dei motivi per cui, a quaranta giorni di distanza dall’operazione congiunta di polizia, carabinieri e finanza, il quadro cautelare è rimasto pressoché immutato. Delle 213 misure emesse all’epoca, solo il dieci per cento ha subito modifiche al termine dei Riesami, ma il dato più rilevante è la conferma ha riguardato 115 delle 118 persone gravate dall’accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso. Anche l’altra ipotesi associativa, quella legata al traffico di stupefacenti che riguarda la famiglia Abbruzzese “Banana” è rimasta in piedi come nella versione originale del primo settembre, con 33 misure cautelari tutte confermate dai Tribunali della libertà. Per ora, dunque, il quadro probatorio ha retto alla perfezione. Diversi i collegi giudicanti sono stati impegnati a valutare i ricorsi degli indagati in questo mese e mezzo. Alcuni hanno fatto l’en plein di respingimenti, e in futuro questo dovrà essere motivo di riflessione.  L’arresto poi annullato del sindaco Marcello Manna, l’interdizione dell’avvocato Paolo Pisani sono pagine controverse dell’inchiesta, non le uniche. Ce ne sono in tutte le maxioperazioni, e un giorno si riparlerà anche di questo.