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Lo hanno preso in giro per settimane per i capelli colorati, per come si veste, per i suoi jeans larghi o anche solo per la custodia del suo telefonino di colore rosa e alla fine Mihail, 17enne di origini rumene, è sbottato ed ha avuto un’accesa discussione in classe con una compagna, da cui avrebbe pure ricevuto un sonoro schiaffo. Poi sarebbe stato rincorso ed accerchiato da un branco di ragazzini inferociti mentre tentava di guadagnare il posto sull’autobus che l’avrebbe riportato a casa.
È la drammatica ricostruzione di un episodio di follia e bullismo verificatosi qualche giorno fa all’autostazione di Cosenza e divenuto noto grazie alla denuncia pubblica di una testimone diretta, Francesca Calabrò, artista di Scalea, che insieme ad altre persone è intervenuta per sottrarre il giovane a una possibile violenza di gruppo.
Già vittima di bullismo
A pochi giorni dal vile episodio, incontriamo Mihail (nome di fantasia, ndr) nella sua casa, che si trova in uno dei centri del Tirreno cosentino. Sembra tranquillo, ma ha gli occhi tristi e l’aria rassegnata di chi sa di essere incappato in un destino da cui pare non poter scappare. Il 17enne, infatti, è già stato vittima di bullismo più volte, anche in passato. E quando gli chiediamo se abbia la più pallida idea del perché, lui risponde: «Non so, perché pensano che sia diverso da loro».
Frase che, alla soglia del 2024, fa rabbrividire. Mihail è arrivato in Italia una decina di anni fa insieme alla sua mamma e ha imparato l’italiano in fretta, ha cercato di integrarsi e cercare nuovi amici, ma soprattutto ha sempre cercato di esprimere liberamente la sua personalità, il suo modo di essere, senza filtri. Com’è diritto di ogni essere umano. Ma pare che questo, per gli altri, sia sempre stato un problema. Mihail ha i capelli sempre “troppo” colorati, i pantaloni “troppo” larghi e la custodia del telefono “troppo” rosa per essere quella di un ragazzino. Mihail ha sempre qualcosa di “troppo” che infastidisce chi ha di fronte. Soprattutto da quando, per via delle cocenti delusioni, offesa dopo offesa, insulto dopo insulto, ha imparato ad essere più selettivo e più diffidente nelle relazioni sociali, anche a scuola, con i suoi compagni.
Lo schiaffo della compagna
Dopo l’accaduto, Mihail è corso in caserma a denunciare accompagnato da sua madre. Poi ha deciso di affidare al nostro network il racconto di quelle ore, «perché non accada mai più, a nessun altro». L’inizio della crociata contro di lui sarebbe cominciata in seguito a una lite avvenuta con una compagna di classe, dopo una serie di insulti, offese e provocazioni «che vanno avanti dall’inizio della scuola». Al culmine dell’ennesima lite, una compagna di classe gli avrebbe dato una schiaffo in pieno volto e lui avrebbe reagito versandole dell’acqua sulla testa, «perché non bisogna mai alzare le mani sulle donne, nemmeno quando si è arrabbiati».
Ma a quel punto Mihail avrebbe guadagnato l’uscita dell’aula e si sarebbe diretto di corsa verso l’autobus che l’attende tutti i giorni per riportarlo a casa. Ma proprio lì, all’autostazione di Cosenza, sarebbe stato accerchiato da numerosi coetanei, che pare fossero malintenzionati. Avrebbero cominciato a strattonarlo, a spingerlo, i loro volti sarebbero stati minacciosi. «Mi hanno chiesto se voglio un biglietto di sola andata per la Romania, se mi sono fatto da solo questi capelli». Ma lui non ha reagito, ha subito in silenzio, per non alimentare la rabbia. Ma le urla dei suoi potenziali aggressori, per fortuna, hanno attirato l’attenzione dei passeggeri già presunti sull’autobus. Alcuni di loro sono scesi per sottrarre il giovane malcapitato all’odio e alla violenza del branco e l’hanno messo al sicuro.
Il rientro a casa
Mihail, spaventato e visibilmente provato dall’accaduto, è salito sul mezzo, si è seduto al suo posto e ha ringraziato le persone che l’hanno aiutato. Quando è rincasato ha indossato la maschera della tranquillità. «All’inizio lui è tornato a casa con il sorriso sulla faccia e mi ha detto “Ma’, non ti preoccupare”, mi ha detto che non aveva paura, ma io sapevo che non è vero», confessa la sua mamma con gli occhi lucidi e la voce tremante.
«Ma è vero – irrompe il figlio, che assiste all’intervista – io non ho paura di loro». Però da quel giorno ha deciso di prendersi un po’ di tempo per riflettere e non andare più a scuola. Dovrebbe tornare a gennaio, al rientro dalle festività natalizie, ma lo preoccupa il fatto che nessuno gli abbia chiesto scusa e che nessuno abbia preso dei provvedimenti, nonostante il clamore suscitato dal caso. «Pensi di tornare a scuola?», gli chiediamo. «Io voglio tornare a scuola, ma se non posso – se non ci saranno le condizioni – resterò a casa». E in quel caso, i bulli avrebbero perpetrato la violenza più grande, grazie alla complicità di uno Stato assente e di una società rassegnata, ormai, a ogni sopruso.

