Quattro mesi di stop: rigettato il ricorso della preside davanti alla Suprema Corte. Ecco le motivazioni
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La Corte di Cassazione ha chiuso definitivamente la vicenda disciplinare che ha visto coinvolta una dirigente scolastica dell’istituto comprensivo di Corigliano Rossano. La dirigente aveva impugnato la sanzione di quattro mesi di sospensione dallo stipendio e dal servizio, inflitta per una serie di inadempienze amministrative e gestionali, oltre che per i rapporti difficili all’interno della scuola.
La Cassazione ha confermato quanto già stabilito dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che a sua volta aveva dato ragione al Ministero dell’Istruzione. In particolare, la Suprema Corte ha giudicato infondate le doglianze della dirigente, che contestava il valore probatorio dei verbali dell’ispettore scolastico e i tempi della contestazione disciplinare.
Sul primo punto, i giudici hanno ribadito che i verbali dell’ispettore hanno «fede privilegiata» per quanto riguarda i fatti direttamente accertati e non possono essere messi in discussione semplicemente perché l’ispettore sia stato oggetto di una querela. Scrive infatti la Cassazione che il ricorso «finisce per sollecitare una revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, inammissibile in sede di legittimità».
Quanto alla tempestività della contestazione, la difesa sosteneva che i problemi gestionali della scuola erano noti sin dal 2012. La Suprema Corte ha però condiviso la ricostruzione dei giudici di merito, secondo cui il termine decorre dalla consegna della relazione ispettiva, avvenuta il 4 febbraio 2015, e non dalle prime segnalazioni. Come si legge nella motivazione: «Irrilevante che la ricorrente avesse segnalato già nel 2012 le criticità, perché quel che viene in rilievo ai fini disciplinari è la notizia delle infrazioni a lei ascritte, ossia delle condotte che ha tenuto dopo essersi insediata alla direzione dell’Istituto».
Respinta anche l’ultima censura, con la quale la dirigente lamentava che i giudici d’appello avessero ripreso in maniera acritica la decisione di primo grado. La Cassazione ha spiegato che non si può parlare di violazione di legge quando si contesta soltanto la valutazione delle prove compiuta dal giudice, se questa rientra nei suoi poteri discrezionali.
Il ricorso è stato quindi rigettato, con condanna della dirigente al pagamento delle spese di giudizio, quantificate in 4mila euro.