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Incassare un pestaggio senza avere la possibilità di reagire non è il massimo della vita. Per la gente comune equivale a una iattura, ma a volte può rappresentare un’opportunità. È in quest’ultima categoria che s’inquadra il sonoro paliatone subito alcuni anni fa da Luigi Paternuosto, 47 anni, già cuoco di un ristorante di Cosenza vecchia e poi ’ndranghetista al servizio del clan Perna.
In seguito, indossati i panni del collaboratore di giustizia, lui stesso racconterà ai magistrati antimafia di come sia stata proprio una violenta scarica di schiaffi, calci e pugni a fargli ottenere il biglietto d’ingresso nell’onorata società cosentina. Non si sarebbe trattato, però, di un rito iniziatico. Semmai, di un prezzo da pagare. Quando ancora nessuno sa chi sia lui.
«Mettersi a posto»
All’epoca, infatti, il suo battesimo criminale avrebbe dovuto essere molto più morbido: recarsi da un commerciante della città per annunciargli che era arrivato il momento «di mettersi a posto», cioè di pagare il pizzo. Luigi è ancora incensurato, circostanza che in caso di malaugurato arresto gli avrebbe consentito di limitare i danni. È questo il motivo per cui assegnano a lui quel compito.
Ha una sorta di copione da seguire, poche battute che ha imparato a memoria: «Allora, visto che devi pagare mille euro, ne cacci cinquecento e la partita è chiusa. E’ inutile che ti rivolgi ad altre persone perché la “novità” è stata già passata». Gli dicono anche che qualora la vittima trovi la richiesta esosa, il prezzo può scendere a trecento euro. Paternuosto va al negozio e si attiene alle sue regole d’ingaggio.
La Porsche di “Bella-Bella”
«Guarda, in trent’anni di attività non mi è mai capitato di pagare una tangente». Davanti a lui non c’è il proprietario, bensì suo figlio. «Comunque – aggiunge – se le cose stanno così, certamente ci metteremo a posto». Gli chiede 48 ore di tempo e, due giorni dopo, puntualissimo, Paternuosto di ripresenta al suo cospetto. «Ti dico la verità – gli dice il commerciante – mi sono rivolto a Bella-Bella».
Dì lì a poco nel negozio si presenta proprio lui, Michele Bruni “Bella-Bella”. Arriva a bordo di una Porsche Cayenne in compagnia di due zingari. Appena entra nel locale punta il dito contro il Paternuosto. «Tu sei Luigi?». Gli chiede di uscire fuori e lo porta in un vicolo poco lontano. «Non presagivo nulla, quindi l’ho seguito». E una volta lì, il tono di Bruni si fa minaccioso: «Tu sei andato a chiedere l’estorsione a nome mio?».
«Tagliategli la testa»
Il cuoco, seppur intimorito, mostra il petto: «Gli ho risposto che non era necessario che spendessi il suo nome, visto che era andato per conto di personaggi di caratura criminale molto più importante della sua». L’interlocutore, però, non gradisce quella spiegazione così articolata. Gli rifila uno schiaffone in pieno volto. E subito dopo, i due che sono con lui cominciano a colpirlo a suon di calci e pugni.
Paternuosto non reagisce. Teme, anzi ne è certo, che il suo aggressore abbia una pistola nella tasca destra del giaccone. E così si lascia malmenare. Appena gliene si offre l’opportunità, però, riesce a divincolarsi per darsela a gambe. Corre più veloce che può e, nel frattempo, sente che uno dei due nomadi inveisce contro lui: «Diceva agli altri di riagguantarmi perché mi doveva tagliare la testa».
Al bar per «apparare»
Seppur dolorante, riesce a tornare a casa e poi contatta il suo gancio all’interno dell’organizzazione. Quest’ultimo si precipita da lui e gli consegna una pistola: è una S&W calibro 38. «Mi ha detto di restare lì, in attesa di una sua telefonata». Che puntuale arriva alle 15.30. Gli danno appuntamento a un bar dove, a detta dei suoi superiori, avrebbero chiarito la vicenda che lo riguarda. «Per il bene di tutti».
Al bar ci va a piedi. E lì trova i due zingari che poco prima l’hanno picchiato. Con loro non c’è Bruni, ma un altro pezzo grosso: Francesco Patitucci. Mentre avanza verso il gruppetto, Paternuosto impugna l’arma nascosta nel giubbino. I presenti lo notano, tant’è che uno di loro si nasconde dietro l’amico. Patitucci solleva la mano ieratico: «Siamo venuti ad apparare. Tranquillo, caccia le mani dalle tasche».
Spumante da uno sconosciuto
Il boss vuole sapere cos’è successo e Paternuosto gli racconta tutto fin nei minimi dettagli. Anche la persona che lo ha mandato a bussare a denari dal commerciante conferma la sua versione. Prende la parola Patitucci e rivolto ai due zingari dice loro: «Non vi permettete più a fare un’azione come questa. E dite a Michele Bruni che ho preso come un’offesa il fatto che non s’è presentato all’appuntamento».
La questione è chiusa, ma prima che la compagnia si sciolga c’è un’altra sorpresa per il cuoco, stavolta positiva. «Benvenuto nella malavita di Cosenza» gli dice Patitucci poggiandogli una mano sulla spalla. «Che sia stata una sorta di affiliazione l’ho realizzato dopo. Mi trovavo in discoteca e a un certo punto mi arriva al tavolo una bottiglia di prosecco. Me l’aveva offerta uno sconosciuto». Ora tutti sanno chi è.