Il Tribunale di Cosenza ha messo la parola fine a una delle più complesse e controverse vicende giudiziarie legate al fallimento dell’Istituto Fondazione Papa Giovanni XXIII, pronunciandosi sulla maxi richiesta risarcitoria da oltre 121 milioni di euro avanzata da Comabbio Securatisation Srl nei confronti di Alfredo Luberto e dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano.

Con sentenza del 20 dicembre 2025, il giudice della Seconda sezione civile, Giusi Ianni, ha accolto solo in parte la domanda attorea, condannando Alfredo Luberto al pagamento di 100mila euro, oltre rivalutazione e interessi, e rigettando integralmente la pretesa risarcitoria nei confronti dell’Arcidiocesi.

La causa trae origine dal fallimento dell’Istituto Papa Giovanni XXIII, dichiarato tale dal Tribunale di Paola nel 2009, e dalle successive condanne penali definitive inflitte ad Alfredo Luberto, già presidente e amministratore della Fondazione, ritenuto responsabile di associazione per delinquere, appropriazioni indebite, truffe e bancarotta fraudolenta. In sede penale, con sentenza irrevocabile del 2015, Luberto era stato condannato anche al risarcimento dei danni in favore della curatela fallimentare, con riconoscimento di una provvisionale pari a 100mila euro, da liquidarsi in separato giudizio civile.

Quel credito, ritenuto «certo ma deteriorato» per la verosimile insolvenza del debitore, è stato successivamente ceduto dalla curatela fallimentare nell’ambito di una procedura competitiva autorizzata dal Tribunale di Paola e, attraverso una serie di passaggi di cartolarizzazione, è giunto nella titolarità di Comabbio Securatisation, che ha quindi promosso l’azione civile.

La società attrice aveva chiesto la condanna in solido di Luberto e dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano al risarcimento di oltre 121 milioni di euro, ritenendo entrambi responsabili del dissesto patrimoniale della Fondazione. Secondo Comabbio, l’Arcidiocesi avrebbe dovuto esercitare poteri di vigilanza e controllo sull’operato di Luberto, prevenendo o arrestando le condotte illecite che avrebbero aggravato lo stato di insolvenza dell’ente.

Il Tribunale ha però operato una netta distinzione tra le due posizioni. Per quanto riguarda Alfredo Luberto, il giudice ha richiamato l’efficacia vincolante del giudicato penale, che rende incontestabile l’accertamento dei fatti e della responsabilità dell’ex amministratore. In questo quadro, il Tribunale ha riconosciuto la legittimazione di Comabbio a far valere il credito risarcitorio nei limiti della sola provvisionale di 100mila euro, ritenuta l’unica somma effettivamente ricompresa nel perimetro della cessione dei crediti. È stata quindi disposta la condanna di Luberto al pagamento di tale importo, oltre accessori, con rifusione integrale delle spese di lite in favore della società attrice.

Diversa, e decisamente più articolata, la valutazione sulla posizione dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano. Il Tribunale ha escluso che nei suoi confronti potesse operare l’efficacia del giudicato penale, trattandosi di soggetto rimasto estraneo a quel processo, nel quale aveva anzi rivestito la qualifica di persona offesa. Secondo la sentenza, la responsabilità dell’Arcidiocesi non poteva essere affermata né sul piano del concorso colposo né su quello della responsabilità indiretta ex articolo 2049 del codice civile.

Il giudice ha ricostruito l’assetto statutario dell’Istituto Papa Giovanni XXIII, evidenziando come l’ente, pur sottoposto alla vigilanza canonica dell’Arcidiocesi, fosse dotato di autonomia giuridica e amministrativa, con organi propri e poteri gestionali affidati al consiglio di amministrazione e, successivamente, allo stesso Luberto in qualità di amministratore unico. La vigilanza dell’Arcidiocesi, ha chiarito il Tribunale, era finalizzata al rispetto degli scopi umanitari e pastorali della Fondazione, non al controllo dell’economicità o dell’efficienza dell’attività imprenditoriale svolta.

In questo contesto, è stata ritenuta giuridicamente infondata la tesi secondo cui l’Arcidiocesi avrebbe dovuto attivarsi per una liquidazione giudiziale o volontaria dell’ente ai primi segnali di dissesto. Secondo la sentenza, tali valutazioni spettavano esclusivamente agli organi amministrativi della Fondazione, le cui responsabilità sono state peraltro accertate in sede penale.

Il Tribunale ha inoltre escluso qualsiasi forma di collusione tra i vertici ecclesiastici e Luberto, rilevando come dagli atti emerga piuttosto un rapporto di eccessiva fiducia o di sudditanza, ma non una compartecipazione alle condotte illecite. Le azioni criminose dell’ex amministratore, finalizzate a un tornaconto personale e del tutto estranee agli scopi dell’ente ecclesiastico, sono state ritenute incompatibili con l’applicazione della responsabilità del “committente” prevista dall’articolo 2049 del codice civile.

Alla luce di queste considerazioni, la domanda risarcitoria nei confronti dell’Arcidiocesi, rappresentata dall’avvocato Francesco Fortuna, è stata integralmente rigettata.

Quanto alle spese di giudizio, il Tribunale ha disposto la condanna di Alfredo Luberto alla rifusione integrale delle spese sostenute da Comabbio Securatisation. Nei rapporti tra la società attrice e l’Arcidiocesi, invece, la particolare complessità della vicenda ha giustificato una compensazione parziale delle spese, con condanna di Comabbio al pagamento della metà degli onorari legali in favore dell’ente ecclesiastico.