Contrastare il traffico di sostanze stupefacenti è una prerogativa di tutti gli uffici di procura. La competenza territoriale cambia se durante le indagini emergono elementi che possono configurare l’articolo 74, ovvero l’associazione dedita al narcotraffico, come nel caso dell’inchiesta “Affari di famiglia” coordinata dalla Dda di Catanzaro, in quanto il reato contestato è di competenza distrettuale. E allora vediamo nel dettaglio cosa scrive il gip di Catanzaro nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita nei giorni scorsi.

Il racconto di Adolfo Foggetti

«A Paola c’ero io e a San Lucido c’erano i Calabria, perché i Calabria ce li ha messi Francesco Patitucci» spiegava Adolfo Foggetti che «i Calabria facevano il tramite tra… cioè li aveva sotto Porcaro, solamente che cosa succedeva… dato che la droga da noi era la stessa, cioè la stessa provenienza, anche se a volte c’erano i Calabria che la prendevano da Rosarno, quando a volte Cosenza non l’aveva». E ancora: «Il legame tra Pietro Calabria, Fabio Calabria e Gianluca Arlia è stato suggellato da un formale rito di affiliazione, pur non sapendo riferire il grado criminale loro conferito». Il gip scrive che «le dichiarazioni del collaboratore Adolfo Foggetti ha confermato gli interessi del gruppo criminale nel settore del narcotraffico». (LEGGI COSA HANNO DETTO GLI ALTRI PENTITI)

La scala gerarchica del gruppo

Per il gip è provata l’esistenza di un gruppo organizzato e strutturato in modo gerarchico. Tutto ciò sarebbe comprovato da continui e stabili contatti tra i soggetti indagati e dallo scambio di direttive finalizzato alla gestione delle attività di narcotraffico. «Al vertice della gerarchia si colloca Pietro Calabria», molto vicino al boss di Cosenza Francesco Patitucci. Il presuno capo società di San Lucido sarebbe coadiuvato «da vari soggetti organizzartori» tra cui Andrea Tundis e Fabio Calabria. Inoltre, l’associazione avrebbe suddiviso i ruoli tra organizzatori e soggetti demoltiplicatori. In particolare, i maggiorenti della presunta consorteria dedita al narcotraffico avrebbero coordinato le attività, cedendo spesso lo stupefacente ad altri individui.

La rotte commerciali della droga

Le indagini avrebbero dimostrato anche l’esistenza «di rotte commerciali per la compravendita di stupefacenti testimoniata dai numerosi dati investigativi che attestano le cointeressenze nel settore del narcotraffico della cosca di San Lucido con il gruppo criminale capeggiato da Salvatore Caruso, attivo nel territorio di Paola, e quello di Roberto Porcaro a Cosenza da cui il clan Calabria-Tundis si rifornisce di cocaina». Ma non solo. «Il sodalizio si rivolge anche a coltivatori operanti sulla costa tirrenica per l’acquisto di marijuana, fra cui Michele Iannelli, soggetto storicamente vicino al clan Muto di Cetraro».

Come alimentare i flussi di droga

Il gip di Catanzaro evidenzia anche «un dato che attesta la spiccata capacità dei sodali di muoversi con estrema facilità e rapidità nei canali del narcotraffico in modo da soddisfare la domanda sul mercato senza alcuna soluzione di continuità. L’associazione traffica prevalentemente cocaina e marijuana e rifornisce di droga anche i gruppi criminali operanti su Paola e zone limitrofe». A ciò si aggiunge «la capacità mostrata da Pietro Calabria e dai suoi principali accoliti di attrezzare l’abitazione a laboratorio per la preparazione e il confezionamento dello stupefacente. Rileva altresì che sempre nei pressi del luogo di dimora la droga veniva occultata». Nel caso di specie, la Dda ha richiamato la videoriprese sulla falegnameria o quelle che attestano l’utilizzo di vasi e barattoli posizionati nei pressi del muro perimetrale al cui interno «Andrea Tundis nascondeva quantitativi di narcotico pronti ad essere rapidamente smerciati».

La contabilità e la vendita “a credito”

Per ritenere sussistente la gravità indiziaria, il gip De Salvatore ha preso atto che il gruppo dei Calabria avrebbe tenuto un registro per la contabilità che sarebbe «comprovato dalle intercettazioni da cui risulta che gli organizzatori del gruppo erano soliti segnare i nomi degli acquirenti e i debiti di volta in volta accumulati. Si tratta di un dato particolarmente significativo ed espressivo di un’attività svolta in modo professionale nonché rivolta a garantire una stabile fonte di reddito incompatibile dunque con una dedizione allo spaccio meramente occasionale». Inoltre il gip di Catanzaro ha rilevato «la tendenza del gruppo di vendere stupefacenti a credito, indicativa di un’ampia disponibilità di droga e di una capacità di tenere sotto controllo tutti i debitori, tanto quelli assuntori quanto i demoltiplicatori che dovevano comunque rendere conto ai maggiorenti delle forniture che ricevevano e dei proventi che traevano dalla successiva rivendita».

Solidarietà tra gli associati

«Le intercettazioni ambientali dimostrano che i sodali erano in grado di sostituirsi nello spaccio nei momenti di bisogno, come avvenuto nel caso in cui Emanuele Tundis agiva seguendo le direttive del fratello impossibilitato. I vari accoliti erano inoltre considerati tutti equivalenti punti di riferimento nello spaccio: si consideri infatti che in molti casi gli acquirenti erano clienti indifferentemente di più componenti del gruppo». E infine, «il collegamento con l’associazione mafiosa» sarebbe «comprovato dal dato della partecipazione al sodalizio dedito al narcotraffico anche degli stessi maggiorenti della consorteria criminale mafiosa. Ciò è indicativo del fatto che l’organizzazione in esame altro non è che una propaggine della cosca di ‘ndrangheta Calabria-Tundis per la quale il settore del narcotraffico rappresenta un core business». In conclusione, «la potenzialità offensiva espressa dall’associazione», secondo il gip «va ben al di là del “piccolo spaccio”».