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«Dopo venti minuti quella donna aveva portato via mia figlia con tutta la culla, ho iniziato a insospettirmi», racconta Valeria, la madre della piccola Sofia. Quella donna si era presentata come un’infermiera, ma qualcosa non aveva convinto del tutto la madre di Valeria.
«Mia madre aveva avuto una brutta impressione. Diceva che c’era qualcosa di strano in lei, ma non avremmo mai immaginato che fosse una rapitrice», continua Valeria. Nella stanza, oltre alla neo-mamma, c’erano suo marito Federico e il loro primogenito Alessandro, un bambino di soli quattro anni.
Quando Valeria si è resa conto che qualcosa non andava, il panico ha preso il sopravvento. «Qui dentro c’era il delirio. Ero fuori di me. Mio figlio continuava a chiedere perché non riportassero la sua sorellina. È stato straziante». Le ore successive al rapimento sono state un susseguirsi di emozioni intense: paura, disperazione, rabbia e un senso di impotenza che sembrava impossibile da superare. Valeria racconta di aver perso il controllo delle sue emozioni, tanto da dover essere sedata.
«Non sentivo più nemmeno il dolore dei punti del cesareo. Il mondo mi è crollato addosso. Mi sentivo morta dentro», confessa. Nonostante il supporto della famiglia e del personale medico, Valeria temeva il peggio. «Ho creduto, anche solo per un momento, che non avrei mai più rivisto mia figlia».
Tre ore dopo il rapimento, la svolta. Una telefonata della polizia ha riportato il respiro e la speranza nella stanza numero 16. «Quando ho sentito la sirena dell’ambulanza, ho capito subito che era lei. Era tornata», ricorda Valeria con le lacrime agli occhi.
Sofia è stata ritrovata sana e salva, anche se i segni del rapimento erano evidenti. La neonata era nuda nella culla; la sua tutina rosa, simbolo di quelle ore terribili, era sparita. «Non l’ho voluta indietro. Voglio cancellare ogni traccia di quelle ore», spiega Valeria. «Riaverla tra le braccia è stato come un sogno. Le ho dato un bacio e l’ho stretta forte a me. È stato il momento in cui ho ricominciato a vivere».