Lo storico legame con il clan di Limbadi, l’incontro in carcere tra l’avvocato Gioacchino Piromalli junior e Peppe Mancuso, il summit al Sayonara di Nicotera e il riscontro con le dichiarazioni del collaboratore Mantella contenute nella sentenza di Rinascita Scott
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Un vincolo “fraterno” tra il boss di Gioia Tauro, Pino Piromalli, e il capoclan di Limbadi Luigi Mancuso. Un legame già venuto alla luce con le operazioni antimafia Tirreno del 1993 e Rinascita Scott del 2019, ma che assume contorni nuovi dalle stesse parole dei protagonisti, intercettati dai carabinieri del Ros di Reggio Calabria nell’ambito dell’inchiesta “Res Tauro” che ha portato martedì all’arresto di 26 presunti esponenti del clan Piromalli (tra cui Pino Piromalli, 80 anni, detto “Facciazza”) e vede complessivamente indagate 46 persone tra cui anche gli altri due presunti reggenti della cosca di Gioia Tauro: Gioacchino Piromalli, 91 anni (rimasto a piede libero) e Antonio Piromalli, 86 anni, detto Nino, (finito ai domiciliari), entrambi fratelli di Pino Piromalli.
Pino Piromalli e le intercettazioni sui Mancuso
Se Gioacchino Piromalli junior, 56 anni (figlio di Antonio, detto Nino), di professione avvocato, e anche lui tra gli arrestati, secondo l’inchiesta “Res Tauro” avrebbe rischiato con il suo comportamento di mettere in crisi gli storici buoni rapporti con la cosca Mancuso per via del mancato ricevimento di due emissari del clan di Limbadi per discutere di affari criminali, il boss Pino Piromalli (intercettato dai carabinieri del Ros dentro la sua abitazione) avrebbe svelato un episodio inedito riguardante il defunto zio Peppino Piromalli, deceduto nel 2005 ed a capo (insieme al fratello Mommo, deceduto nel 1979) dell’intera ‘ndrangheta calabrese.
Pino Piromalli, vantandosi di “essere stato lui stesso il reale fautore del prestigio mafioso della cosca Piromalli”, raccontava infatti nei dialoghi intercettati un aneddoto risalente alla fine degli anni ‘70 allorquando lo zio Giuseppe, detto Peppino (cl. 21), all'epoca latitante, per “ridimensionare la figura mafiosa del giovane Pino, aveva convocato i Mancuso di Limbadi riferendo loro che l'interfaccia criminale della cosca Piromalli doveva diventare da quel momento in poi, a scapito di Pino, l'altro nipote Carmelo Stillitani, figlio di sua sorella. Era a quel punto che gli esponenti della cosca Mancuso, per tutta risposta – spiegano gli inquirenti dall’ascolto delle parole di Pino Piromalli – avevano affermato che, contrariamente alle indicazioni ricevute da Peppino Piromalli, avrebbero continuato a relazionarsi con Pino Piromalli: «Stiamo bene con l'amicizia di Pino, non vogliamo altri cristiani in mezzo, ci troviamo benissimo con Pino. Altre cose?...Arrivederci», lasciando come un pupo il boss Peppino Piromalli”.
Il legame con Luigi Mancuso
A confermare poi lo strettissimo legame tra Pino Piromalli e il boss di Limbadi Luigi Mancuso è anche Maria Martino, moglie di Pino Piromalli (indagata a piede libero nell’operazione Res Tauro). La donna nei dialoghi intercettati affermava infatti che “ancora oggi il marito godeva di stima e affetto da parte di Luigi Mancuso, il quale aveva confidato al figlio Antonio Piromalli che Pino Piromalli era, per lui Mancuso, come un fratello”. Luigi Mancuso, una volta uscito dal carcere nel 2012 dopo 19 anni di ininterrotta detenzione, avrebbe infatti detto ad Antonio Piromalli (riferendosi al padre Pino Piromalli): «Un amico solo ho nella vita mia e basta...ed è come un fratello..., ho un fratello solo».
Non è un caso – annotano negli atti dell’inchiesta gli inquirenti – che Pino Piromalli ha incontrato il 7 ottobre 2021 Demetrio Putortì, 32 anni, di Nicotera, ritenuto “uomo di fiducia di Luigi Mancuso, con il quale evidentemente aveva trattato e confermato gli storici rapporti di fratellanza tra i due massimi esponenti della 'ndrangheta calabrese”. Si tratta dello stesso Demetrio Putortì (fermato dalle forze dell’ordine in diversi controlli del territorio in compagnia di Luigi Mancuso) condannato per il ferimento della sorella Marisa a colpi di fucile a Nicotera la sera del 20 agosto 2016 ed assolto poi per altri reati nell’inchiesta Maestrale.
Peppe Mancuso e i Piromalli
Gli storici legami tra i Mancuso e i Piromalli emergono inoltre da altri passaggi dell’inchiesta “Res Tauro”. E’ lo stesso Pino Piromalli, infatti, a spiegare nelle intercettazioni di nutrire uguale rispetto, oltre che per Luigi Mancuso, anche per il nipote Giuseppe Mancuso, 76 anni (alias “Peppe ‘Mbroghija”, libero dal 25 novembre 2021 dopo aver scontato 24 anni di detenzione). Gioacchino Piromalli junior, invece, andando a trovare il 25 luglio 2021 lo zio Pino a casa una volta scarcerato, spiegava di aver conosciuto nel carcere di Cuneo – durante un comune periodo di detenzione al 41 bis – il boss Giuseppe Mancuso. Gioacchino Piromalli riferiva in particolare allo zio di essere riuscito “talvolta a dialogare, a seconda delle imposizioni connesse al trattamento carcerario, con Giuseppe Mancuso e raccontava inoltre che era stato proprio Giuseppe Mancuso ad informarlo della scarcerazione dello zio Pino”. Effettivamente, per come emerso dalla consultazione della banca dati in uso alle forze dell’ordine, Gioacchino Piromalli (cl. ’69) e Giuseppe Mancuso (cl. ’49) sono stati detenuti insieme a Cuneo dal 23 maggio 2018 al 23 luglio 2021.
Le stragi di Cosa Nostra, i Piromalli e i Mancuso
A svelare ulteriori particolari sul ruolo dei Piromalli e dei Mancuso anche in relazione alla stagione delle stragi del 1993 volute da Cosa Nostra è un dialogo intercettato tra Francesco Adornato (finito ai domiciliari) e Giuseppe Ferraro (in carcere), entrambi arrestati e ritenuti elementi del clan Piromalli. Adornato nelle captazioni spiegava al suo interlocutore che “Pino Piromalli era uno dei più importanti personaggi dell'organizzazione unitaria della ‘ndrangheta e in passato - unitamente ad Antonino Pesce di Rosarno, detto "Ninu Testuni" - aveva composto la "commissione" per decidere se la ‘ndrangheta avesse dovuto o meno concorrere alla deliberazione delle `stragi di Stato' volute dalla mafia siciliana”. Di tali interlocuzioni aveva anche riferito il collaboratore di giustizia Franco Pino, boss di Cosenza presente alla riunione tra i vertici della ‘ndrangheta tenuta – ad avviso degli inquirenti – nel villaggio Sayonara di Nicotera Marina. Stando alle intercettazioni dell’operazione “Res Tauro”, “Francesco Adornato spiegava che la "commissione" - al cui consesso però Pino Piromalli non aveva personalmente partecipato in quanto aveva delegato in sua vece Antonino Pesce detto `Nino u Testuni' della cosca Pesce di Rosarno - aveva deciso di 'avallare' le stragi di Stato, condividendo la politica del terrore e stragista proposta dalla mafia siciliana. Luigi Mancuso, esponente apicale dell'omonima cosca di Limbadi, si era dimostrato invece di contrario avviso e aveva adottato una politica più cauta opponendosi alle iniziative proposte dalla mafia siciliana”. Di rimando, Giuseppe Ferraro “esaltava la lungimiranza di Luigi Mancuso, certo che da una 'guerra frontale' allo Stato, la ‘ndrangheta, come qualsiasi organizzazione mafiosa, non sarebbe potuta uscire vittoriosa («E chi la vince la guerra... con lo Stato vinci la guerra?»). Francesco Adornato avrebbe condiviso la valutazione espressa dal Ferraro, aggiungendo che la ‘ndrangheta, all'epoca, non aveva interesse a insinuarsi in una situazione così plateale creata per giunta dalla stessa mafia siciliana. Questa l’intercettazione al riguardo: «Ma noi perché ci dobbiamo imbrattare, dice Luigi. Noi dobbiamo dare ascolto ai siciliani, ma loro hanno voluto l’Antimafia ma loro i privilegi loro non li possono avere e ce l'hanno messa in culo anche a noi con il 41 bis. Ora loro ci dicono loro di ammazzare...un Ministro…e prima di fare il colpo di Stato. Ma quando mai...allora capisci com'è il fatto»?
Andrea Mantella, Luigi Mancuso e le stragi
Il dialogo intercettato tra i due presunti esponenti del clan Piromalli trova un formidabile riscontro nelle dichiarazioni rese su tale specifico argomento dal collaboratore di giustizia di Vibo Valentia, Andrea Mantella, contenute – da ultimo – anche nelle motivazioni della sentenza di primo grado del maxiprocesso Rinascita Scott.
“Luigi Mancuso è stato contattato dalla commissione di Cosa Nostra per le stragi che c'erano in atto – ha dichiarato Mantella –, per le strategie di Cosa Nostra che aveva messo in atto per sondare il terreno e vedere di coinvolgere la 'Ndrangheta per fare degli attentati, delle vittime innocenti, anche in Calabria. Per quanto io ne sappia, Luigi Mancuso con molta maestria ha declinato l’invito, ma nello stesso tempo per non mettersi in cattiva luce fece la mossa di contattare altri esponenti delle altre province della 'Ndrangheta calabrese per vedere chi voleva aderire e chi non voleva aderire. Alla fine con molta sapienza, per quanto io ne sappia, il Mancuso ha convinto tutti con la sua abilità di non partecipare noi 'ndranghetisti insieme siciliani alle stragi. Questo per far capire quanto è abile Luigi Mancuso: ha fatto bella figura pure con Cosa Nostra perché non ha fatto fare la figura dei vigliacchi agli 'ndranghetisti. Questa è l'abilità, la professionalità che gli è stata sempre riconosciuta a Luigi Mancuso da tantissimi ‘ndranghetisti. A me ne l'ha detto – ha concluso Mantella - Saverio Razionale, Francesco Giampà, il mio capo e lo stesso Paolino Lo Bianco. Ecco, questo era Luigi Mancuso”. Saverio Razionale è l’esponente di vertice del clan di San Gregorio d’Ippona, Francesco Giampà è invece da sempre ritenuto a capo dell’omonimo clan di Lamezia Terme, mentre il riferimento di Mantella al proprio capo richiama la figura del defunto boss di Vibo Valentia Carmelo Lo Bianco, alias “Piccinni”.
Il riferimento ai rapporti tra Luigi Mancuso ed esponenti di Cosa Nostra si trova in ogni caso anche in altre indagini condotte dalla Dda di Reggio Calabria, come "’Ndrangheta stragista", "Mammasantissima" e "Acero" e sulle stesse ha riferito, da ultimo, anche il teste Massimiliano D'Angelantonio (comandante del II Reparto Investigativo del Ros) nell'udienza del 29 marzo 2022 del maxiprocesso Rinascita Scott.