È tornato dopo 22 anni di carcere duro, ed è tornato da “padrone”. Giuseppe Piromalli, boss dell’omonima cosca, una delle più influenti e potenti della ‘ndrangheta calabrese, è il protagonista centrale dell’operazione “Res-Tauro”, l’indagine coordinata dalla Dda di Reggio Calabria e condotta dai Carabinieri che ha portato alla luce la ristrutturazione interna del clan e alla decapitazione del potere criminale nella Piana di Gioia Tauro.

Nel mirino dell’inchiesta, oltre agli assetti attuali dell’organizzazione, c’è soprattutto il ruolo del boss, tornato in libertà nel 2021 dopo oltre due decenni di detenzione in regime di 41-bis. Un ritorno che non ha avuto nulla di silenzioso. Secondo quanto emerge dalle intercettazioni e dagli atti dell’indagine, Piromalli ha subito reclamato il trono criminale, criticando l’operato dei familiari che nel frattempo avevano gestito – o disgregato – la cosca.

«Se ho vissuto una vita in questa maniera, non posso cambiare vita!», affermava il boss durante un incontro nelle campagne di Gioia Tauro, dove, secondo gli inquirenti, sanciva pubblicamente la sua ritrovata centralità nel clan. Nel corso delle indagini, gli investigatori hanno documentato non solo i rapporti interni, deteriorati e segnati da faide familiari tra fratelli e nipoti, ma anche una precisa strategia di “restaurazione mafiosa”. Giuseppe Piromalli si è scagliato contro coloro che, in sua assenza, avevano permesso a imprenditori “forestieri” di lucrare su un territorio che per la cosca resta sacro e intoccabile.

«A Gioia ci sono io… fino a che campano… il più brutto dei Piromalli… la musica la cantiamo noi», diceva intercettato mentre rimproverava i suoi per aver lasciato spazio ad altri clan. Parole che pesano come sentenze. Il boss si diceva pronto all’arresto, consapevole che quel ritorno alla ribalta mafiosa avrebbe avuto un prezzo, ma determinato a ripristinare un ordine infranto, imponendo regole nuove – o meglio, antiche – e ristabilendo la netta divisione del territorio tra famiglie.

Nel frattempo, le intercettazioni raccontano di come avesse rimproverato anche il nipote, Gioacchino Piromalli, che avrebbe “tradito” le logiche del potere mafioso, tentando di agire in autonomia. Un comportamento che il boss non era disposto a tollerare. «Se ti sei comportato bene ti ascoltavo… se no vendi pesce… ti metti un magazzino… ma altre cose non ne fa nessuno finché c’è Pino Piromalli… nessuno!», avrebbe detto il boss al nipote.

Al centro della strategia di Giuseppe Piromalli c’era anche una dura critica al “basso profilo” mantenuto dai vertici in libertà, rei di non aver difeso il prestigio e la “dignità mafiosa” del casato, evitando anche l’assistenza ai detenuti. Una mancanza di onore e coerenza che, per il boss, andava sanata con un ritorno alla “vecchia maniera”.

L’operazione “Res_Tauro” ha dunque squarciato il velo su una realtà che, secondo le forze dell’ordine, non aveva mai davvero smesso di esercitare il proprio dominio sulla Piana di Gioia Tauro. La cosca Piromalli, sebbene apparentemente in difficoltà, non ha mai smesso di imperare. Lo testimoniano le prove raccolte, le intercettazioni e il clima di terrore e controllo ancora esercitato sul territorio. La figura di Giuseppe Piromalli, nel frattempo, torna a imporsi come simbolo di una ‘ndrangheta che non dimentica, che aspetta, e che pretende fedeltà assoluta. Anche a costo di un nuovo arresto.