Una storia nella storia. I verbali dei collaboratori di giustizia non contengono solo dichiarazioni auto ed etero accusatorie, ma rivelano anche dinamiche ed equilibri criminali che mutano nel corso del tempo. Nel caso di Anna Palmieri, pentita dal 2018, ovvero dal giorno successivo alla condanna definitiva per il processo “Job Center“, si parla di una mancata affiliazione al clan degli “zingari” di Cosenza. La donna, moglie di Celestino Abbruzzese, aliasMicetto“, meglio conosciuto come “Claudio“, lo riferisce ai magistrati antimafia della Dda di Catanzaro, nel corso di uno dei tanti interrogatori resi davanti alla polizia giudiziaria.

«Non sono mai stata formalmente affiliata alla ‘ndrangheta» spiega Anna Palmieri ai pm di Catanzaro. «Tuttavia agli inizi del 2014 mi proposi, insieme a Marco Paura» a uno dei suoi cognati per «affiliarmi formalmente». La pentita dà la sua versione: «Ciò in quanto temevo che se mio marito fosse stato arrestato, in assenza di una formale affiliazione, non avrei potuto avere voce in capitolo su tutto ciò che riguardava l’attività criminale di mio marito. Quando mio marito venne a sapere di questa mia volontà, ci fu un’accesa discussione tra noi due», ricorda la donna, «poiché lui era fermamente contrario alla mia affiliazione, che mi avrebbe costretto ad eseguire ogni tipo di ordine, anche di tipo omicidiario che fosse arrivato dalla cosca».

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«Ricordo anche che mio marito, per la rabbia di aver appreso di questa mia intenzione, tirò un pugno al frigorifero e subì una frattura al quinto metacarpo di una mano. In ogni caso la mia intenzione di affiliarmi era ferma» al punto che avrebbe detto a uno dei suoi cognati «che, se si fosse rifiutato di affiliarmi, io e Marco Paura, ci saremmo rivolti ai Muto di Cetraro». Specifico – conclude Anna Palmieri – che per avere una formale affiliazione, occorreva avere l’assenso della “società“, ovvero dei componenti della famiglia, quindi nel caso specifico, i cassanesi avrebbero dovuto dare anche il loro assenso».