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Tra Cosenza e Rende le scuole sono apparse e scomparse, risucchiate dalle carte e dai temporali. Così è stato per le Elementari “Stancati”, costruite dal mecenate Carlo Bilotti e poi donate al Comune qualche anno fa. La passata amministrazione, tuttavia, non accettò la donazione lasciando l’immobile alle ortiche. Oggi quelle aule sono rimaste vuote e cadenti, impelagate in un limbo amministrativo e giudiziario difficile a sbrogliarsi.
Il figlio del mecenate Bilotti: «Disposto a cedere le mie quote al Comune»
Roberto Bilotti, figlio del magnate e collezionista, ci dice al telefono che lui è pronto a cedere le proprie quote al Comune: «Se serve, la mia disponibilità c’è» ma sottolinea che la situazione è ingarbugliata e tra i vari fili è difficile trovare il capo. Negli anni, quella vecchia scuola, iconica con i suoi red bricks alla newyorchese che si ritrovano nelle facciate di altri palazzi dei dintorni sempre eretti da Bilotti, accoglieva lentamente le ultime generazioni ospiti, prima di diventare dormitorio e poi un corpo con ali da abbattere perché a rischio crollo.
Il chiosco delle meraviglie sintetiche
Sembra una cartolina sbiadita la vista lontana, oltre il cancello chiuso con il lucchetto, di quella che un tempo era la scuola del futuro, ben incastonata nell’area rendese che aspirava a diventare il moderno che non c’era. Proprio lì davanti, trent’anni fa, si fermava il chiosco di un ambulante con un cappello scuro in testa e l’aria rurale sempre arrabbiata e sbrigativa. Si fermava nello spiazzo all’ora di ingresso e di uscita e poi faceva lo straordinario per aspettare i bambini “del pomeriggio” che pranzavano a mensa e se ne tornavano a casa alle quattro e mezza. Aveva tutto un mondo in quel baracchino, tutto quello che genitori assennati di oggi non comprerebbero mai con la regolarità distratta di allora: gli Smarties assortiti nel tubo in cartone, i pacchi di spinaci di gomma zuccherina Popeye, le biglie in rete da farsi sequestrare in classe, le collanine inanellate di caramelle, i Frizzy Pazzy che pizzicavano in gola e sulla punta della lingua per chissà quale demoniaca combinazione di aromi e umidificanti, le gomme da masticare a forma di sigarette per futuri tabagisti. Il politicamente corretto era di là da venire, in fondo erano gli anni Ottanta, nulla faceva male se era in vendita, e ci piaceva crederlo.


A bordo con Franco dalle mille sigarette
Lo scuolabus giallo di Franco (che vedeva il ricambio al volante di un altro Franco), se ne stava quieto davanti allo stadio Lorenzon aspettando la campanella. Franco (quello con le basette scure lunghe) si fumava mezzo pacchetto mentre scarrozzava bambini urlanti per le contrade. Poi inchiodava, tirava il freno a mano e sequestrava con regolarità svizzera quelle che chiamava le “cartelle”, le figurine piegate che i bambini si sfidavano a ribaltare con un battito di mano. All’altezza della casa cantoniera, verso contrada Santa Rosa, partivano i cori da dietro: “…e a chi non batte le mani gli muore la mamma…” e via di nuovo a inchiodare mentre volavano minacce sulla cenere della sigaretta che planava sugli zaini.
Il Market del burro di arachidi
Per i panini da mangiare a ricreazione, ci pensava il Market Stella, la bottega a due passi dalla scuola, nel tratto che fa angolo con la super strada. Ormai quel negozio non c’è più da secoli, ma la memoria è una bestia dura da abbattere e passando da lì quasi ci si aspetta di vedere di nuovo la fila fuori di genitori in ritardo e bambini con i nasi lucidi e le cartelle sulla schiena. Quella bottega sdoganò per prima a Cosenza il famoso burro d’arachidi arrivato dalle scene della famiglia Keaton o dei Bradford, alle tavole di Commenda.
Oggi i pezzi invecchiati male di quella scuola stanno a guardare gli automobilisti che tagliano di lì verso l’ipermercato, sorto sulle rovine di una SuperGomma (poi anche occasionale sala per Capodanni). Le finestre spaccate, un tempo neanche tanto lontano, erano l’affaccio dei bambini che oggi hanno quarant’anni, e spiano la città, come anziani umarell. In fondo per nascondere bene una cosa basta metterla bene in evidenza, così l’occhio si abitua e la memoria dimentica.