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Una sentenza che dà voce a lavoratori e lavoratrici. Una battaglia giuridica che ha trovato nel processo di appello celebrato a Catanzaro un’affermazione importante. La Corte presieduta da Emilio Sirianni (relatore Antonio Cestone) ha evidenziato la centralità dei diritti di uomini e, nel caso specifico, donne. La certezza, secondo il collegio, è che Sara Guerriero ha subito sulla propria pelle «il carattere ritorsivo e discriminatorio» di un licenziamento. Il provvedimento del giugno 2017 è da considerarsi nullo, tanto che viene intimato alla Farmasuisse Srl il reintegro immediato e il pagamento delle spettanze arretrate.
La vicenda di Sara Guerriero
Cosentina e madre di due bambini, Sara Guerriero è salita alla ribalta delle cronache suo malgrado. Lo fece quando l’Istituto Helvetico Sanders la trasferì a Salerno dalla sede di Cosenza poco dopo aver dato alla luce il primo figlio. La sua lotta, che finalmente ha pagato, è proseguita per quattro lunghi anni tra tentativi di mediazioni da parte dell’azienda, sentenze di primo e secondo grado di tribunali del lavoro impugnate in appello. Le motivazioni addotte dai vecchi datori di lavoro hanno sempre riguardato il carattere economico di crisi aziendale e contenimento dei costi. Secondo l’avvocato difensore Giuseppe Lepera, e da oggi anche secondo i giudici, la maternità avrebbe invece fatto saltare gli equilibri aziendali e con essi ogni forma di tutela per le neo madri sancita dai contratti collettivi.
Le motivazioni della sentenza
«Nel caso di specie – si legge – l’azienda avrebbe dovuto provare il calo di fatturato e il trend negativo dell’andamento», cosa che «non è in alcun modo avvenuta perché sul punto la società si è arrestata ad allegazioni e prove insufficienti e contraddittorie, se non del tutto assenti». Da qui, a margine delle considerazioni del caso, si arriva al passaggio cruciale della sentenza che afferma «sia il carattere ritorsivo, sia quello discriminatorio del licenziamento oggetto di causa». «Ciò detto – scrivono ancora i giudici – deve ritenersi che unico motivo alla base dell’intimato recesso va ravvisato nell’intento del datore di lavoro di punire la lavoratrice per la strenua, inaspettata e vittoriosa resistenza opposta dalla stessa in sede giudiziale avverso i due trasferimenti. Ciò che peraltro era suo pieno diritto».
«La si voleva indurre alle dimissioni»
L’interpretazione fornita all’intera vicenda di Sara Guerriero viene fotografata evidenziando che «i trasferimenti vennero in concreto disposti in maniera del tutto pretestuosa e, quindi, solo per indurre la lavoratrice alle dimissioni. Questo com’è facilmente intuibile trattandosi di mamma di figlio di poco più di un anno di età. Non è un caso infatti che le vicissitudini della ricorrente sul luogo di lavoro iniziano a soli tre mesi dalla fine del periodo di tutela».