La sua foto con il braccio fasciato al petto è tra le più iconiche del Novecento. Quelle immagini, che lo vedono in azione durante la partita del secolo – Italia-Germania 4-3 ai mondiali di Mexico ’70 – raccontano meglio di tante altre chi è Franz Beckenbauer. E chi sarà per sempre. E non importa che storico libero, capitano e poi allenatore della nazionale tedesca, colonna del Bayern Monaco, sia morto da poche ore all’età di 78 anni. Il suo nome è consegnato all’immortalità, la sua leggenda è destinata a durare in eterno.

Il suo soprannome era il Kaiser perché guidava la difesa in modo imperiale e per visione di gioco, pulizia e stile, rappresentava spesso l’uomo in più a centrocampo, quello in grado di marcare la differenza in campo. Vederlo uscire dall’area di rigore palla al piede è uno degli spettacoli che, assicurano in molti, valeva da solo il prezzo del biglietto. Non a caso, è considerato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, forse il più grande.

La sua carriera si è dispiegata tra gli anni Sessanta e Settanta e si è svolta interamente in Germania, con un’appendice finale negli Usa tra le fila dei Cosmos di New York. E’ stato uno dei pochi a vincere il campionato del mondo sia da giocatore che da allenatore. Insomma, un campione assoluto. Era alle prese da tempo con gravi problemi di salute: operazioni al cuore e alle anche e, più di recente, un infarto oculare che lo aveva reso quasi cieco. A ciò si era aggiunto anche lo schianto per la perdita di un figlio, Stephen, deceduto nel 2015 all’età di 46 anni.

Proprio una settimana fa, il settimanale “Der Spiegel” aveva lanciato l’allarme sulle sue condizioni di salute sempre più a rischio. E domenica 7 gennaio, purtroppo, l’ora fatidica è infine arrivata. Si chiude un’epoca. L’epoca del Kaiser.