La Dia ha notificato la misura cautelare all’ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo. Secondo la Procura avrebbe reso dichiarazioni false sul guanto ritrovato sull’auto dei killer e poi scomparso
Tutti gli articoli di Italia Mondo
PHOTO
Una nuova ombra si allunga sull’omicidio di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione Siciliana assassinato a Palermo il 6 gennaio 1980. Dopo oltre quarant’anni, la procura del capoluogo siciliano torna a indagare su uno dei nodi più oscuri di quella vicenda: il depistaggio delle indagini che seguirono all’attentato.
La Direzione Investigativa Antimafia ha notificato gli arresti domiciliari a Filippo Piritore, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo ed ex prefetto. L’inchiesta, condotta dalla procura di Palermo, lo accusa di aver fornito dichiarazioni false e fuorvianti su un dettaglio rimasto scolpito nella memoria degli investigatori: un guanto ritrovato sull’auto dei killer, una Fiat 127, poi misteriosamente scomparso.
Quel guanto, dimenticato da uno degli assassini durante la fuga, avrebbe potuto rivelare tracce decisive per risalire al commando. Ma non fu mai repertato, né sequestrato. Un’assenza che pesò sin dall’inizio come un’ombra sul lavoro degli inquirenti. Oggi, i magistrati ipotizzano che quella scomparsa non fu casuale.
Secondo la procura, Piritore avrebbe «reso dichiarazioni rivelatesi del tutto prive di riscontro», contribuendo a sviare le indagini «funzionali (anche) al rinvenimento del guanto mai ritrovato». Parole pesanti, che riaprono la ferita di una delle pagine più dolorose della storia repubblicana e aggiungono un tassello al lungo elenco dei presunti depistaggi che, dagli anni Ottanta in poi, hanno segnato la lotta dello Stato contro Cosa nostra.
Ma non è tutto. Nelle carte dell’inchiesta compare anche il nome di Bruno Contrada, l’ex numero due del Sisde, i servizi segreti civili, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Contrada non risulta destinatario di misure cautelari, ma la sua presenza nei documenti d’indagine aggiunge peso e inquietudine al quadro ricostruito dagli inquirenti.
Il cosiddetto “guanto killer” diventa così il simbolo di ciò che non è mai stato detto, di ciò che forse qualcuno volle cancellare per sempre. Un reperto fantasma, scomparso nel nulla, che avrebbe potuto cambiare la storia dell’inchiesta e forse rivelare chi, quel giorno, impugnò l’arma contro Piersanti Mattarella.

