Laurence non ha più dubbi: non è stata l’imprudenza a uccidere suo marito. “Gianluca non ha sfidato il destino, non ha varcato alcuna soglia proibita”, racconta in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Dopo mesi di silenzio, ha deciso di parlare per restituire dignità alla memoria di suo marito, Gianluca Di Gioia, romano, 48 anni, ucciso da uno squalo il 29 dicembre 2024 mentre faceva snorkeling nel resort Sataya di Marsa Alam, in Egitto.

Quella che doveva essere una vacanza di Natale in famiglia si è trasformata in un incubo. La tragedia non è stata solo l’attacco mortale dello squalo, ma anche la lentezza e l’inadeguatezza dei soccorsi.

Un attacco improvviso

Laurence e Gianluca erano in acqua insieme. Poco distante da loro c’era Alessandra, la cognata di Laurence. “Eravamo nella zona cosiddetta sicura, al di qua delle boe che segnalano il confine con le acque più rischiose. Nessuno ci aveva avvertito di un possibile pericolo”, racconta la donna.

Poi, in un istante, l’orrore. “Stavamo facendo snorkeling quando ho visto lo squalo. Era a meno di due metri e puntava dritto verso Gianluca. Ho cominciato a urlare, gli ho detto di allontanarsi, ma in un attimo lo ha aggredito.”

Le urla disperate di Laurence si mescolano al silenzio di chi avrebbe dovuto intervenire. “Ho gridato con tutte le mie forze, chiedevo aiuto, ma nessuno arrivava. Né un bagnino, né un mezzo di soccorso. Quando finalmente sono riuscita a raggiungere il pontile, il bagnino si limitava a soffiare in un fischietto. Quell’inutile fischio ce l’ho ancora in testa e non potrò mai dimenticarlo.”

I soccorsi tardivi e le accuse alla gestione del resort

Secondo Laurence, ciò che ha reso ancora più straziante la morte di Gianluca è stata l’inadeguatezza dei soccorsi. “Il bagnino fischiava, ma nessuno mandava un mezzo di soccorso. I gommoni erano legati e non trovavano le chiavi. Quando finalmente lo hanno riportato sul pontile, hanno perso altri dieci minuti prima di trasportarlo in un ambulatorio.”

Un’accusa condivisa anche dalla madre di Gianluca, Angela, che era presente sulla spiaggia. “Dal pontile ho sentito urlare, prima ancora di capire che fosse mio figlio. La sua voce era forte, aveva ancora energia. Se fossero intervenuti subito, se il gommone fosse partito immediatamente, se gli avessero legato la gamba per fermare l’emorragia, forse mio figlio sarebbe ancora vivo. Invece, non avevano nulla. Nemmeno i gommoni erano del resort.”

L’eroismo di Giuseppe Fappani

A tentare di salvare Gianluca è stato Giuseppe Fappani, un turista italiano di 69 anni che si trovava in acqua in quel momento. “Non ha esitato un attimo”, racconta Laurence. “Ha affrontato il pericolo con incredibile sangue freddo, cercando di aiutare Gianluca e riportandolo verso la riva. Per questo ha riportato gravi ferite. Non smetteremo mai di ringraziarlo.”

Fappani ha rischiato la vita per un gesto di straordinario altruismo, un atto di coraggio che la famiglia di Gianluca non dimenticherà mai.

Nessuna causa, ma una battaglia per la verità

Laurence e la sua famiglia non hanno ancora deciso se intraprendere una causa contro il resort. “Non lo so, e in questo momento non è quello che ci interessa”, spiega. “Ora vogliamo solo giustizia per il ricordo di Gianluca. Troppe bugie sono state dette, troppi giudizi affrettati. Gianluca era una persona prudentissima. Un grande viaggiatore, un cittadino del mondo, rispettoso delle regole e della natura.”

L’unico errore, con il senno di poi, è stato scegliere un luogo che non era attrezzato per affrontare le emergenze.