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Secondo quanto emerge dalle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo, Filippo Turetta ha agito con lucidità e razionalità dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin. La Corte d’Assise di Venezia ha sottolineato come l’occultamento del corpo sia avvenuto in modo accurato, con l’evidente intento di ritardarne il ritrovamento. Una condotta che, per i giudici, dimostra la piena consapevolezza dell’accaduto.
Settantacinque coltellate: nessuna volontà di infliggere sofferenze gratuite
Nel valutare le dinamiche dell’aggressione, la Corte ha escluso l’aggravante della crudeltà. Nonostante le 75 coltellate inferte alla vittima, non sono emersi elementi sufficienti per dimostrare l’intento deliberato di causare sofferenze ulteriori rispetto a quelle già implicite nell’azione omicida.
La ricostruzione degli eventi evidenzia che i colpi sono stati inferti in modo rapido e disorganizzato. I giudici ritengono che questa modalità d’azione rifletta più l’inesperienza dell’autore che una volontà sadica o crudele.
Dinamica concitata e mancanza di esperienza: esclusa l’aggravante
Dalla visione dei filmati, la Corte ha rilevato che i colpi sono stati sferrati in modo ravvicinato e con evidente disorientamento. I punti in cui Giulia è stata ferita non sono stati interpretati come frutto di un piano premeditato per aumentare la sofferenza, ma piuttosto come conseguenza di un’azione concitata e caotica.
Anche l’atto finale, una coltellata all’occhio, è stato interpretato come privo di intenzionalità specifica, considerando che Turetta avrebbe interrotto l’aggressione proprio dopo essersi reso conto di quel colpo.
La sofferenza della vittima e l’esclusione della crudeltà
I giudici hanno riconosciuto che l’aggressione è durata circa venti minuti e che la vittima ha avuto coscienza dell’imminente fine. Tuttavia, non sono state trovate prove che indichino l’intenzione da parte dell’imputato di prolungare la sofferenza per puro sadismo. In assenza di tale elemento soggettivo, è stata esclusa l’aggravante della crudeltà.