Laboratorio Civico critica l’uso costante del confronto con la “vecchia gestione”: invece di costruire il presente, si continua a demolire il passato.
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«Prendiamo atto che, anche in occasione del “Settembre Rendese 2025”, la nuova amministrazione non riesce a resistere alla tentazione di evocare, più o meno velatamente, la “vecchia gestione” come unico metro di paragone – così in una nota Laboratorio Civico -. È curioso constatare come, per legittimare il presente, si senta costantemente il bisogno di sminuire ciò che è stato fatto prima.
È una metodologia nota e antica: invece di fondare il consenso sui risultati, lo si costruisce sull’ombra gettata sugli altri. In psicanalisi si chiamerebbe complesso di legittimazione per sottrazione: se non riesco a brillare di luce propria, spengo quella degli altri. Una scelta comoda, certo, ma che alla lunga rivela più debolezza che forza. Non a caso, il bisogno continuo di svalutare il lavoro dei predecessori è il segnale più chiaro di insicurezza: un’amministrazione solida non avrebbe alcuna necessità di ricorrere a paragoni denigratori. Si parla di “torpore” e di una città “incapace di capire sé stessa”.
Eppure, mentre qualcuno oggi scopre l’acqua calda, in quegli anni Rende era al centro delle cronache culturali regionali, e non solo: da tutta la provincia e persino oltre arrivavano apprezzamenti, riconoscimenti e presenze qualificate.
I meriti dell’allora assessora alla cultura, Marta Petrusewicz, erano universalmente riconosciuti e vantati con orgoglio da operatori, artisti e cittadini. La cultura, però, non è mai “l’attimo”: è un percorso che vive di continuità e sedimentazione, non di paludi da cui fingere di ripartire da zero. Anche quando vuole essere d’avanguardia – concetto peraltro molto distante dalla visione attuale – resta sempre una costruzione di lunga durata, fatta di memoria, stratificazione e rispetto per chi ha operato prima. Distruggere e sminuire il lavoro di generazioni non è soltanto ingiusto, ma è nocivo e a-sociale.
È singolare poi notare che il direttore artistico di oggi sia lo stesso di ieri: colui che in passato proponeva “feste di paese”, secondo la narrazione attuale, è lo stesso che oggi viene celebrato come garante di preziosi passaggi culturali. È la prova evidente di quanto sia fragile e strumentale questa operazione di riscrittura. La cultura è un terreno scivoloso: bisogna essere ben attrezzati, non per trasformarla in un’arma politica o in un’autocelebrazione effimera, ma per custodirla e proiettarla nel futuro. La città non dimentica: più che demolire il passato, occorrerebbe avere il coraggio e la capacità di costruire davvero il presente».