Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviata da un nostro lettore dopo la recente esperienza vissuta in pronto soccorso a Cosenza. La missiva è rivolta anche al presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, in qualità di commissario ad acta della sanità calabrese

Gentile Presidente della Regione Calabria, gentili assessori, gentili consiglieri, volevo condividere con Voi la mia esperienza di qualche giorno fa presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Civile dell’Annunziata di Cosenza. Questa non vuole essere la solita lettera-denuncia come già ne sono state scritte tante; non racconterò i dettagli dell’assistenza che mi è stata riservata urlando allo scandalo e all’incompetenza dei medici e dei sanitari. Non è questo il caso, anche perché sono stato dimesso dopo qualche ora senza scontrarmi con particolari inefficienze o comportamenti disumani.

La mia vuole essere una sorta di analisi, di suggerimento, di condivisione di pensieri e di proposte, a mente fredda. Senza pregiudizi o aggressività, anzi, affronterei il tema con una certa leggerezza; magari ha più piglio rispetto a proteste infuocate che generalmente si smette di ascoltare dopo pochi secondi. Mi sono recato al PS perché, dopo qualche esame febbre alta da qualche giorno, saturazione bassa e difficoltà respiratorie, è risultato fossi affetto da polmonite.

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Arrivato lì intorno alle 12.00, lo scenario che mi trovo davanti è il seguente: c’erano circa 15 persone in attesa di effettuare il triage e soprattutto di capire da chi e con quale criterio sarebbero state accettate, c’erano accompagnatori già sul piede di guerra e pronti a protestare (perché mentalmente a Cosenza, recarsi al PS, equivale a partire al fronte e ad affrontare nemici), c’erano due guardie giurate che cercavano di spiegare alle persone che bisognava attendere e che cercavano di creare una fila ordinata, ma che nella loro testa pensavano che forse era meglio partire per l’Iraq.

Le persone nella sala d’attesa erano lì per i motivi più disparati: dolori addominali, contusioni, ferite, traumi oculari. Nella sala triage, dove i sanitari compilano la scheda di ammissione, era presente solo un’infermiera, seduta davanti a un computer dell’epoca Vittoriana, mentre a fianco a lei c’era un altro pc bloccato chissà da quando. Due pc, una persona. Per un ospedale che copre il territorio praticamente di un’intera provincia. A un certo punto ho pensato di essere sul set di un film, tra l’altro curato nei minimi dettagli e meritevole di Oscar: “Niente di nuovo sul fronte assistenziale” ho pensato.

Dopo circa mezz’ora la porta del triage si apre e compare la caposala che, con atteggiamento serafico, quasi zen, chiede a ciascuno dei presenti quale fosse il motivo della loro presenza: ognuno viene indirizzato, chi viene invitato a sedersi, chi viene mandato all’oculistica, chi viene semplicemente tranquillizzato. Questo semplice gesto umano, questa manifestazione di disponibilità e di presenza, hanno riportato uno stato di calma. Ora dico io, Presidente, cosa ci vuole per capire che la maggiore problematica del PS di Cosenza è il numero di medici che deve far fronte a un’utenza così estesa? Io non credo che il problema sia l’incompetenza o meno di chi lavora lì; il problema è semplicemente quello: i numeri.

Mentre aspettavo e osservavo la caposala spostare i pazienti come se fosse la Regina degli Scacchi, ho provato a mettermi nella sua testa, nei suoi panni. Io non credo sia per niente facile, per 4-5 operatori (nel migliore dei casi) far fronte a così tanta gente che arriva allarmata, con ogni tipo di patologia e di pregiudizio, pronta a urlare e a inveire contro chiunque perché la storia dice che “il PS di Cosenza è una giungla, dove nessuno ti assiste e dove ti lasciano su una barella per giorni”.

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Questi medici hanno fatto il giuramento di Ippocrate, non un corso di meditazione e non mi meraviglio che qualcuno di essi possa sbottare perché massacrato da turni allucinanti e da un appoggio pressoché nullo delle istituzioni. Nel mio caso era di turno una persona che probabilmente aveva appena mangiato un monaco buddhista, ma poteva esserci benissimo qualcuno dei protagonisti dei film di Tarantino.

Allora Presidente, io credo che questa rappresenti una priorità assoluta, anzi LA priorità. Risolvere questo problema vorrebbe dire migliorare la vita dei cittadini della Regione che rappresenta in modo palpabile; risolvere questo problema la farebbe diventare il Presidente più amato e probabilmente sarebbe avviata una causa di beatificazione da vivo. Io al suo posto, lascerei da parte per esempio il Ponte sullo Stretto, che non mi pare proprio questa gran priorità.

Metterei da parte anche la costruzione del nuovo Ospedale, visto che l’unica cosa attualmente a disposizione per la nuova struttura sono i malati. Io convocherei un Consiglio Regionale, mi chiuderei nella Cittadella come se fosse un Conclave e direi al Camerlengo. “Apri la porta solo quando comunichiamo di avere la soluzione al problema; anzi quando comunichiamo qual è la soluzione al problema”. E starei chiuso lì dentro cercando disperatamente la soluzione per il bene della mia terra, della mia gente. Fino alla fumata bianca. “Habemus Papam”. Ora io non so quale possa essere la soluzione, la più rapida, la più efficiente: non è nelle mie competenze.

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Ma credo che non sia un caso irrisolvibile. Immagino per esempio che il numero chiuso delle facoltà di medicina possa essere un ostacolo; quanti studenti che riescono ad entrare lasciano poi prima della fine degli studi o vanno a specializzarsi fuori per poi non rientrare più? E quanti aspiranti tali non entrano per un nonnulla e magari la loro motivazione sarebbe stata il motore di una carriera brillante? Non ci sono risorse economiche sufficienti? Bene, dirottiamo finanziamenti e fondi, inventiamoci un modo per ridistribuire i soldi indirizzati a cose oggettivamente di secondo piano. Sono sicuro che nessuno protesterebbe o punterebbe il dito contro una decisione del genere.

Presidente, io penso che questa sia davvero una grande sfida. Forse la più grande e complessa che c’è in questo momento (a dire il vero la sfida è presente da quando ho memoria), ma proprio per questo rappresenta una sfida affascinante, di quelle che si possono definire “storiche”. Una sfida di quelle che vedrebbe l’intera popolazione schierata dalla stessa parte. Non perda occasione, ambisca all’Oscar e cambi il titolo del film. Magari in questo le potrei dare una mano.

PS: Durante il triage hanno perso la mia Tessera Sanitaria. Ci ho sorriso.” (GP)