Un maestro degli effetti speciali che ha vinto tre Oscar, un artista capace di dare vita a creature che hanno emozionato milioni di spettatori. Negli ultimi anni della sua vita scelse di vivere nella quiete di Altomonte
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Oggi, 15 settembre 2025, ricorre il centenario della nascita di Carlo Rambaldi, un uomo che ha trasformato il cinema con la sua genialità. Nato a Vigarano Mainarda, Ferrara, nel 1925, Rambaldi è stato un maestro degli effetti speciali, un artista capace di dare vita a creature che hanno emozionato milioni di spettatori. Questo breve scritto è un tributo alla sua eredità, ai suoi lavori indimenticabili ma soprattutto al legame speciale che lo univa alla Calabria, la terra che ha abbracciato nei suoi ultimi anni di vita.
Rambaldi era un visionario. Cresciuto nell’officina del padre, ha imparato a manipolare ingranaggi e meccanismi, ma è stata l’Accademia di Belle Arti di Bologna a nutrire la sua anima creativa. La sua carriera è una collezione di capolavori: tre Oscar per gli effetti speciali di “King Kong” (1976), “Alien” (1979) e “E.T. l’Extraterrestre” (1982). Con “King Kong”, ha costruito un gorilla gigante che, pur usato poco nel film, ha mostrato al mondo il suo talento. In “Alien”, insieme a H.R. Giger, ha creato una creatura spaventosa e magnetica, un’icona dell’horror. Ma è con “E.T.” che ha toccato il cuore di tutti: un essere con 150 movimenti, un volto così espressivo da far piangere chiunque. Rambaldi lo diceva sempre: il movimento crea emozione.
Non solo Hollywood. In Italia, ha lavorato con Fellini, Argento, Pasolini, dando vita a draghi, mostri e figure mitologiche per film come “La vendetta di Ercole” o “Sigfrido”. Ha persino costruito un manichino per ricostruire la caduta di Giuseppe Pinelli nel 1971, aiutando Lucio Fulci a dimostrare in tribunale che si trattava di finzione. Ogni sua creazione era un ponte tra tecnica e sentimento, un lavoro artigianale che parlava al cuore degli spettatori.
Poi c’è la Calabria, il luogo che Rambaldi ha scelto come casa negli ultimi anni. A Lamezia Terme, dove è morto nel 2012, e soprattutto ad Altomonte, ha trovato pace. La Calabria, con i suoi paesaggi aspri e il calore della sua gente, rispecchiava la sua natura autentica. Ad Altomonte, ho avuto la fortuna di conoscerlo nei primi anni 2000, grazie al mio amico Enzo Barbieri, l’agrichef famoso dell’Hotel Ristorante Barbieri. Enzo mi ha presentato un Rambaldi semplice, che amava disegnare al tramonto e chiacchierare davanti a un piatto di zafarani cruschi. Il “papà di E.T.” non era un mito distante, ma un uomo che trovava ispirazione nella quiete di un paese calabrese.
Rambaldi amava la Calabria non solo per la sua bellezza, ma per la sua anima. Come ha detto sua figlia Daniela, che guida la Fondazione intitolata al padrei, lui avrebbe voluto dar vita alle storie e ai miti di questa terra, magari un Ulisse o una creatura delle leggende locali. Ad Altomonte, ha lasciato cinque opere alla famiglia Barbieri, un segno del suo affetto per quel luogo.
Oggi, il mondo celebra il suo centenario con mostre a New York, Vibo Valentia, Ferrara e Roma. A Ferrara, l’esposizione “
C arlo Rambaldi. Dal Cielo alla Terra” mostra disegni inediti custoditi proprio da Enzo Barbieri. La Fondazione porta avanti il suo sogno, ispirando giovani artisti. Rambaldi ci ha insegnato che la tecnologia può avere un cuore. La sua Calabria, con la sua semplicità, è stata il rifugio perfetto per un uomo che ha sempre cercato l’autenticità. Grazie, Carlo Rambaldi, per averci fatto credere che anche un pupazzo può avere un’anima.*Documentarista