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Il Planetario di Cosenza per molti anni è stato l’ospite atteso a una cena e in ritardo mostruoso. Era una specie di struttura mitologica, che suonava benissimo all’orecchio (Planetario, ha tutta l’aria di una cosa importante davvero) che doveva realizzarsi, prima o poi, e che a un certo punto è comparsa tra i ciuffi d’erba che affacciano sul fiume. È stato battezzato “Giovan Battista D’Amico”, in onore all’astronomo studioso e pioniere, e da lì la strada s’è fatta subito in salita.
Bello, ma come si usa?
La verità è che una volta piombato dalle stelle dell’immaginazione alla terra delle realtà, nessuno aveva ben chiaro a cosa servisse e, soprattutto, come doveva essere usato. L’inaugurazione del 6 aprile 2019, infarcita di primati e technobabble (spiegazioni ultrascientifiche e molto meticolose sul proiettore ottico Starmaster ZMP della Zeiss capace di proiettare sulla volta celeste perfettamente riprodotta, fino a 4000 immagini di pianeti, stelle, nebulose, satelliti, costellazioni) sembra un’altra Era. Si sgranavano gli occhi sullo schermo a cupola, si tirava uno sguardo ai pianeti in cartapesta che pendevano dai soffitti incrociati sopportando un caldo africano che rimbalzava dalle enormi vetrate e ora non resta che spiare da lontano cosa ne è stato di un investimento stellare davvero di cui non si parla più. Il Planetario è caduto in qualche piega spazio-temporale ed è diventato praticamente invisibile. Tra le sue mura s’è visto poco: qualche incontro (lectio), qualche visita, la buona volontà delle associazioni di astronomia cosentine che hanno fatto quello che potevano mentre si aspettava la stagione giusta per avviare qualcosa di interessante. Ma intanto l’erba ha cominciato a crescere intorno e la ruggine a colare dalla facciata.

Il crollo di Marte
I pianeti sospesi hanno cominciato a staccarsi dai fili e a crollare sul pavimento già dalla primavera scorsa, i pannelli a riempirsi di polvere. È arrivato il Covid e l’oblio ha trovato giustificazione nella situazione sanitaria. Ma i locali erano e sono rimasti vuoti. Chi entrava non sapeva che vedere, al di là dei pochi eventi non c’è mai stata una mostra o un allestimento degno di nota, ci si poteva solo accomodare sulle poltrone basculanti strizzando gli occhi per guardare la volta riprodotta e segnalata con penne al laser (vecchia scuola).
La scorsa estate Fiumefreddo ha ospitato un’iniziativa che ha avuto un grandissimo successo: la prima parte dello Space Adventure Experience, che comprendeva anche la mostra Space Adventure, e poi incontri e collegamenti con alcuni dei più importanti astronomi internazionali, e un simulatore montato proprio lì che ha fatto impazzire bambini e adulti. Ecco forse qualcosa del genere sarebbe stata adatta anche per il Planetario. Magari lo avrebbe riempito. Magari.

A Valencia hanno capito che farne
A Valencia, città a cui Cosenza ha sempre guardato con ammirazione, esiste all’interno della città della Scienza, l’Hemisferic, che attrae moltissimi turisti a settimana. Cosa si fa all’interno? Conferenze? Anche, ma soprattutto proiezioni di filmati (scientifici) interattivi sfruttando la tecnologia Imax. Che cos’è? È un sistema di proiezione che ha la capacità di mostrare immagini e video con una grandezza e una risoluzione molto superiore rispetto ai sistemi di proiezione convenzionali. Grazie alla forma bombata della cupola l’effetto audiovisivo è impressionante. A Cosenza, invece di pensare a qualcosa del genere, si proiettavano diapositive (quelle da conferenza scolastica) e i movimenti della volta erano difficili da seguire (bisognava aguzzare la vista e seguire il puntatore) e poi c’era sempre qualche pezzo delle lenti da cambiare e da aspettare. Adesso che la gramigna e la ruggine hanno capito benissimo cosa farne del Planetario, qualcuno dovrà farsi venire un’idea. Ci sono 7 milioni e ottocentomila ragioni per farlo.