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Fine agosto tempo di bilanci coi primi temporali. Forse un primo errore sta già qui: a settembre avremo di nuovo sussulti intorno ai trentacinque gradi; ci sono stati sovente in passato, saranno ancora di più nella transizione climatica che stiamo vivendo. Un mese non più mite, ma di fenomeni enormemente polarizzati: può chiudere tutto il 31 agosto?
A questo errore valutativo ne è conseguentemente collegato un altro. L’anonimo ministro tedesco che tra luglio e agosto si è due volte scagliato contro il turismo italiano delle città d’arte ha detto che il turismo mediterraneo ha gli anni contati. Dietro la livorosa affermazione, un fondo di verità esiste: se il mese di luglio è destinato a trasformarsi nella soglia dei cinquanta gradi tra Marocco, Grecia e Turchia, e in quella dei quaranta tra Italia, Francia e Spagna, dobbiamo puntare un po’ di più sulle potenzialità inevase del nostro turismo montano. Anch’esso interessato al surriscaldamento, ma a temperature più accettabili (e salutari) che altrove. Fuori stagione (leggasi nei mesi di giugno e almeno prima metà di luglio), i monti italiani non brillano per offerta e la Calabria è in scia, nonostante abbia ben tre catene e massicci di rilievo.
Bene: andiamo al fulcro del problema. Ma com’è andata la stagione estiva per i nostri operatori economici? I dati siamo portati a definirli nudi e crudi, ma poi scopri che possono essere visti da più parti: figurarsi le impressioni e gli interessi. L’imprenditore del ludico stagionale talvolta eccede nel lamento preventivo: non è una caricatura (ma un’immagine che noi tutti conosciamo) il sentire peana di lamentazioni mentre vedi il locale pieno, il lido senza posti liberi per trentacinque/quaranta giorni di fila, la sala ballo sold out con reparto bar da code chilometriche.
La verità è che l’estate rende bene: dal COVID in poi, per chi ha resistito, ha visto in espansione sia la domanda esterna sia quella interna. Come strutturare quella domanda per poterne trarre tutti giovamento? Una prima osservazione: manca la rete, manca la filiera. Si, lo sappiamo: la classe politica tutta si nasconde dietro questo striscione, ma è tempo che ciascuno faccia il proprio. Chi fa turismo in una località di mare dovrebbe essere messo in condizione di godere e vivere tutta l’area prospiciente: navette più frequenti per i borghi storici che sovrastano i litorali, pulizia delle acque ma anche alternative possibili in condizioni di prossimità, superamento della mentalità da ammasso.
La domanda, dicono i dati, è peraltro composita: c’è l’affittuario familiare, la coppia che preferisce bungalow, villaggi e strutture organizzate, il turismo dei grandi gruppi (leggasi: comitive da fuori) che vorrebbe preferibilmente interfacciarsi con la struttura alberghiera standardizzata ma di qualità, i giovani che vorrebbero accedere con più trasparenza alla rete dei bed and breakfast – dove il sommerso è tanto e va riscattato più che punito (punendo semmai i fenomeni puramente speculativi).
Dovremmo reclamizzare regionalmente e in circolo la nostra rete museale regionale: è una programmazione in missing grave, dei tanti turisti che vengono pochissimi accedono ad essa (e mica sempre per disinteresse, tutt’altro!, ma per gap informativo), persino residenti e domanda interna restano freddini.
Aggiungiamo che la programmazione culturale negli enti locali è rimessa allo zero sul piano sistematico e alla tanta buona volontà di chi cerca invece di far bene. Concertistica troppo occasionale, o troppo costosa o logisticamente campata in aria, allestimento di sagre a macchia di leopardo più che d’olio, e serate per i soliti noti sono il registro prevalente. Non facciamo abbastanza per far risaltare le buone pratiche, non facciamo quasi per nulla formazione specialistica per incontrare un mercato da cui attingiamo al momento nemmeno un’unghia delle sue effettive potenzialità economiche.
Ecco perché quando si parla di turismo culturale bisogna stare molto attenti: elogiarlo e promettere genericamente e generalmente di potenziarlo va bene; quello che c’è però è un convitato di pietra tra due fantasmi. Il visitatore che non lo conosce, i meccanismi sociali di impresa che non lo incentivano.